sabato 31 marzo 2012
La Camera approva la norma salva-yacht
E ANCHE OGGI UN ALTRO OPERAIO NON TORNERA' A CASA UN SALUTO DI CUORE ALLA SUA FAMIGLIA
E ANCHE OGGI UN ALTRO OPERAIO NON TORNERA' A CASA
UN SALUTO DI CUORE ALLA SUA FAMIGLIA
- Cede un ponteggio del cantiere, muore un operaio, due i feriti
E' successo al Gerbido dove si sta costruendo l'inceneritore di Torino: secondo i primi dati i tre sono precipitati da un'altezza di 40 metri. Sotto choc l'uomo che ha dato l'allarme. Secondo infortunio in un mese: l'impresa sarebbe la stessa
Un operaio è morto dopo la caduta da un ponteggio dall'altezza di 40 metri, insieme con due suoi colleghi, nel cantiere per la costruzione del nuovo inceneritore di Torino. Gli altri due sono stati trasportati in condizioni gravi all'ospedale Cto del capoluogo piemontese: non sarebbero in pericolo di vita, ma sono in corso accertamenti per stabilire l'entità delle eventuali lesioni interne.
Crisi, Camusso : "Reintegro per i licenziamenti"
Crisi, Camusso : "Reintegro per i licenziamenti"
Marcegaglia: "L'articolo18 non deve cambiare"
Il segretario generale della Cgil interviene al terzo congresso confederale dell'Ugl: "Abbiamo studiato abbastanza, anche se non siamo professori, per non sapere che una riforma del mercato del lavoro non crea posti di lavoro". "Meno tasse per pensionati e lavoratori". "Il dialogo l'ha chiuso il governo". Passera: "Dobbiamo cercare di avere un segno positivo verso la fine dell'anno"
Poi il segretario della Cgil è tornato sul tema caldo dell'articolo 18. Scaricando sul governo la responsabilità della rottura: "E' l'esecutivo che ha chiuso e che ha voluto che il confronto fosse sul tema che si può licenziare più liberamente. Se si decide dopo mesi discussione che l'unica cosa che si chiede alle organizzazioni sindacali è che cosa si pensa dell'articolo 18 e perchè il governo vuole dare il messaggio della libertà di licenziamento". Secca la replica al ministro del Lavoro, che ieri aveva ribadito come la riforma del mercato del lavoro non fosse "contro i lavoratori": "Il governo sia coerente. Se dice che non è una riforma contro il lavoro allora riconosca che ad ogni licenziamento illegittimo corrisponda il reintegro. Non c'è bisogno di altri ragionamenti". Ma dal fronte degli industriali arriva l'indisponibilità ad ogni cambiamento: "Se cambia l'articolo 18 cambia tutto - tuona Emma Marcegaglia - Piuttosto che fare una riforma che ha il risultato finale di irrigidire il mercato del lavoro è meglio non farla".
Camusso sottolinea come "tra gli annunci iniziali e le soluzioni finali trovate dall'esecutivo nella riforma del lavoro, con dentro anche le modifiche all'articolo 18, c'è una distanza enorme". Infine il segretario conclude: "In un momento in cui i licenziamenti sono la realtà quotidiana e la recessione è conclamata si concentra tutto sul fatto che il confronto è sul fatto che si possa licenziare più liberamente".
C'è anche spazio per il messaggio alle altre sigle sindacali. "Saremmo felici se nella prosecuzione delle iniziative di mobilitazione non ci fosse una sola sigla sindacale, ma tutte le sigle che scioperano insieme - continua Camusso - Possiamo discutere su tante cose e avere opinioni diverse, ma su una cosa nessuno può sentirsi sereno: se non dice con nettezza che la dignità del lavoro è sempre il riferimento su cui ci muoviamo".
Quella del 13 aprile sarà una protesta unitaria "per dire che sugli esodati c'è stata un'ingiustizia profonda e saremo lì per chiedere modifiche perchè il tema non è la graduatoria o un piccolo sussidio, ma ripristinare il diritto alla pensione per i lavoratori".
Sorpresa
La maggioranza degli italiani è contraria alla riforma dell'articolo 18 dello Statuto dei Laoratori. Lo rivela un sondaggio realizzato in esclusiva per 'l'Espresso dall'Istituto Demopolis. Meno di un terzo dei cittadini è favorevole alla proposta del governo; il 63 per cento degli italiani, intervistatisi dichiara invece contrario alle modifiche, soprattutto in relazione alla previsione dell'indennizzo al posto del reintegro per i licenziamenti individuali motivati da ragioni economiche dell'impresa. Diffuso appare il timore che, in un periodo di recessione, possa allargarsi la possibilità di licenziamento.
La contrarietà alla revisione dell'articolo 18 appare decisamente trasversale: ribadita, secondo l'analisi dell'Istituto di ricerche diretto da Pietro Vento, dal 92 per cento degli elettori di sinistra, da oltre i due terzi di quanti si dichiarano di centrosinistra e, un po' a sorpresa, perfino dal 49 per cento degli elettori di centro e dal 40 per cento di chi si colloca nel centrodestra.
«Non c'è alcun dubbio che il tema occupazione», spiega il direttore di Demopolis Pietro Vento, «risulti particolarmente sentito dall'opinione pubblica, in un clima sociale nel quale più di un italiano su due si dichiara oggi preoccupato della possibilità che un membro della propria famiglia possa perdere il lavoro nei prossimi anni. Una percezione di insicurezza economica ed occupazionale che nel 2006 riguardava appena un cittadino su cinque, cresciuta in modo esponenziale di oltre 30 punti percentuali negli ultimi 6 anni (dal 20 al 52 per cento )».
Secondo il sondaggio, realizzato per l'Espresso, evidenti contrasti d'opinione sulle scelte al vaglio del governo emergono anche in seno all'elettorato del Pf che, pur apprezzando nel complesso le linee guida della riforma Fornero, si divide sulla modifica dell'articolo 18. Poco meno di un quarto, fra quanti hanno votato per il Partito Democratico alle Politiche del 2008, si dice favorevole alla modifica dell'articolo 18, il 70 per cento esprime invece la propria netta contrarietà.
«Della Riforma Fornero, l'aspetto più convincente per circa i tre quarti degli italiani risulta l'apprendistato come contratto prevalente di ingresso dei giovani nel mercato del lavoro, con stabilizzazione entro i tre anni», dice Vento. «Penamente condiviso appare l'obiettivo di disincentivare economicamente l'uso dei troppi contratti atipici a termine che hanno contribuito ad accrescere il precariato giovanile in Italia. Apprezzate da oltre i due terzi risultano anche l'assicurazione sociale in caso di perdita del posto di lavoro e l'idea di rendere non più gratuiti gli stage in azienda dopo il periodo formativo. In assenza di misure concrete per la riduzione del carico fiscale sul mondo del lavoro e di contestuali investimenti per la crescita ed il rilancio dei consumi, si ravvisa un certo scetticismo degli italiani sui possibili effetti della riforma per la crescita reale dell'occupazione».
giovedì 29 marzo 2012
mercoledì 28 marzo 2012
martedì 27 marzo 2012
Tieni stretto
anche se è un pugno di terra.
tieni stretto ciò in cui credi,
anche se è un albero solitario.
Tieni stretto ciò che vuoi fare,
anche se è molto lontano da quì.
Tieni stretta la vita,
anche se è più facile lasciarsi andare.
Tieni stretta la mia mano,
anche quando sarò lontano da te.
Pace
non è soltanto lo spazio temporaneo tra due guerre;
pace è di più.
E' la legge della vita.
E' quando noi agiamo in modo giusto;
è quando tra ogni singolo essere regna la giustizia.
domenica 25 marzo 2012
L’Italia è ancora una Repubblica fondata sul lavoro?
Lo sciopero indetto dalla FIOM lo scorso 9 marzo si fondava sull'ammonimento che il lavoro è un bene comune, da rivendicare con intransigenza, perchè particolarmente maltrattato in questa contingenza storica. Non si può non essere d'accordo, il lavoro è un bene comune, ma non è un bene esistente in natura, come l'acqua, è un bene comune in quanto istituito dalla Costituzione come supremo bene pubblico repubblicano.
Il principio lavorista, generato dall'art. 1 della Costituzione (l'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro) costituisce uno dei cinque principi fondamentali che reggono l'edificio delle Costituzione (gli altri – secondo la nota definizione di Costantino Mortati - sono il principio democratico (art. 1), il principio personalista (art. 2 e 3), il principio pluralista (art.2), il principio internazionalista o supernazionale (artt. 10 e 11).
Il lavoro è posto a fondamento della Repubblica. Non si tratta di una espressione lieve o banale. Basti pensare quanto essa appare polemica, oggi, rispetto ad un modello economico-sociale in cui tutti gli indici di riferimento sono fondati sul mercato e sulla proprietà privata. Né si tratta di una scelta di classe a favore dei lavoratori dipendenti, quale avrebbe potuto essere adombrata nell’espressione “Repubblica democratica di lavoratori” proposta dai partiti di sinistra nell’Assemblea costituente. In realtà la dignità del lavoro è strettamente collegata ai diritti della persona. Di qui l’affermazione del diritto-dovere al lavoro, riconosciuto a tutti i cittadini, e del dovere della Repubblica di renderne effettivo l’esercizio (art. 4). Di qui il principio, contenuto nell’art. 35, secondo cui “La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme.”
Il bene comune lavoro richiede che le persone siano occupate in modo qualitativamente accettabile e coerente con il pieno rispetto dei diritti costituzionali. Il lavoro come bene comune comporta la tutela di questo bene sia nei confronti del capitale privato (proprietà), sia nei confronti del sistema politico (governo) che del capitale privato sempre più frequentemente è succube. E' stato osservato, che: “il fine precipuo della difesa del lavoro come bene comune è quello di consentire ai lavoratori l'accesso ad una esistenza libera e dignitosa nell'ambito di una produzione ecologicamente sostenibile” (Mattei, 2011).
Non v'è dubbio che da lungo tempo il bene comune lavoro è sottoposto ad un attacco durissimo da una politica assoggettata ai dictat del potere privato che vuole smantellare i presidi che la legge ha posto a tutela della dignità del lavoro. L' aggressione al bene della dignità del lavoro è avvenuta attraverso la precarizzazione crescente dei rapporti di lavoro e la demolizione delle garanzie e delle tutele giurisdizionali, fino ad arrivare all'art.8 del decreto legge della manovra dell’ agosto 2011 (D.L. 13/8/2011 n. 138 conv. convertito con la L. 14/9/2011 n. 148), con il quale la tutela della dignità del lavoro e dei lavoratori è stata sottratta all'impero della legge e consegnata alla dinamica dei rapporti di forza, consentendo a soggetti privati la facoltà di dettare regole, in deroga a quelle leggi dello Stato, attraverso le quali si è incarnato il principio lavorista.
Adesso con la riforma Monti-Fornero l'aggressione al bene della dignità del lavoro fa un ulteriore passo avanti e raggiunge quegli obiettivi che il Governo Berlusconi aveva perseguito invano, trovando uno sbarramento insuperabile nello sciopero generale indetto dalla CGIL il 23 marzo 2002. La sostanziale abrogazione dell'art. 18, annunziata nel piano del governo sul lavoro, al di là delle chiacchiere sulla tutela dei lavoratori da comportamenti discriminatori, si risolve nello smantellamento, puro e semplice della tutela pubblica contro il licenziamento illegittimo, in violazione della costituzione e della stessa Carta dei Diritti fondamentali dell'Unione Europea, che esige (art. 30) la tutela dei lavoratori contro ogni licenziamento ingiustificato.
Il problema non è che possono aumentare i licenziamenti, come paventano alcuni, in una situazione già difficile per l'occupazione, il problema è che cambia la natura del rapporto di lavoro. L'art. 18 è una norma di chiusura, rappresenta la sanzione che tiene in piedi l'intero edificio dei diritti dei lavoratori. Se si toglie la sanzione, l'edificio crolla e lo Statuto dei lavoratori che definisce i diritti dei lavoratori ed i limiti del potere privato diviene un pezzo di carta. Quando fu varato lo Statuto dei lavoratori, il commento unanime fu che finalmente la Costituzione entrava in fabbrica. Che finalmente anche i lavoratori acquistavano la libertà di esprimere le proprie opinioni, di iscriversi al sindacato da loro scelto, di non essere sottoposti alle vessazioni di polizie private, di non essere controllati nelle loro opinioni politiche, etc.
Tutto questo è destinato a sparire, la dignità del lavoratore ed il rispetto dei suoi diritti costituzionali, diventeranno merce di scambio da inserire nella contabilità dei costi e ricavi. La cancellazione dell'art. 18 (cioè della sanzione contro i comportamenti illegittimi del potere privato) espelle la Costituzione dai territori che sono dominio del potere privato e trasforma il lavoratore in un non-cittadino, realizzando la profezia nera di Marchionne, che aveva annunziato l'avvento di una nuova era.
Siamo proprio sicuri che è di questo che l'Italia ha bisogno?
Azienda arrogante
Non erano lacrime di coccodrillo, ma lacrime di emozione per l'apparizione in TV
Sulle tensioni sociali, Camusso invita ad un "bagno di realtà". Ci sono e ci saranno tante reazioni nel Paese, segno che "la vera violazione, il vero vulnus che è intervenuto è che si continua nell'idea che si può dividere il Paese", ha aggiunto. Camusso ha apprezzato l'impegno del governo rispetto all'Europa ma sull'articolo 18 "ci colloca con la Grecia". "E credo - ha aggiunto - che questo sia un errore".
Durante il suo intervento, interrotto due volte da applausi in platea, Camusso ha avuto parole dure nei confronti della riforma: "Non crea un posto di lavoro che sia uno" e non contribuisce alla crescita, dice. "Non sono le regole a mettere in moto la crescita ma gli investimenti", aggiunge Camusso.
Riguardo all'articolo 18, con il mancato reintegro per i licenziamenti economici illegittimi "si è costruita una ingiustizia. Crea incertezza per lavoratori e questo è un fattore di non competitività e produttività del sistema", attacca. Annuncia che le soluzioni del governo in materia di licenziamenti verranno "contrastate con tutte le nostre forze" e sintetizza: sull'articolo 18 "si è costruita una grande ingiustizia. Se un licenziamento è illegittimo la sanzione deve essere la stessa qualunque sia la ragione", ribadendo quindi il no della Cgil aIl'indennizzo per i licenziamenti di natura economica.
Sugli ammortizzatori si potevano fare cose diverse, continua la leader della Cgil, visto che "siamo lontani dalla universalità che ci viene proposta". Un'altra botta per i lavoratori arriverebbe dall'aumento dell'Iva, che determinerebbe "uno straordinario peggioramento" della loro vita, e anche delle aziende
Più o meno in Germania
apporto di lavoro, perché questa è la durata massima per il periodo di prova, non tre anni come vorrebbe Fornero. L'obbligo di reintegrazione scatta per le aziende a partire da 10 dipendenti, non oltre i 15, come adesso in Italia. Il licenziamento va comunicato e motivato dal datore di lavoro alla rappresentanza sindacale aziendale. E se il consiglio aziendale non lo ritiene giustificato, formula un'obiezione scritta, che ha un peso rilevante nel caso si ricorra al giudice. Inoltre, se l'azienda ritiene di dover rinunciare a un lavoratore per motivi di ordine economico o organizzativo, non può licenziare a caso Tizio o Caio, ma solo chi tra i dipendenti ha la minore anzianità di servizio e meno familiari da mantenere
Mercato del Lavoro. Camusso batte Monti 2 a 0
ROMA - La riforma del mercato del lavoro si sposta a Cernobbio, al forum di Confcommercio. Parla Monti ed è il gelo. La platea non applaude. Quanto va dicendo il presidente del Consiglio non è ben accetto. Parla Susanna Camusso, segretario generale della Cgil e riceve due applausi da una assemblea composta certamente non da bolscevichi, comunisti, estremisti.
Sono le parole e il tono a raggelar l’uditorio. Praticamente Monti dice a chiare lettere che lui non tiene in alcuna considerazione le forze sociali. Ancora più grave, incredibile verrebbe da dire, una affermazione di cui dovrebbe prendere nota anche il Presidente della Repubblica. "Qualunque sia l'esito di questo governo - dice - che mi auguro sia positivo, non cercherò il consenso che non ho cercato fino ad adesso". Se non si era capito ribadisce:” A differenza degli altri uomini e donne politici e politiche non ho cercato questa posizione.” Insomma manda in soffitta la coesione sociale che invece Confcommercio ritiene importante ai fini della ripresa del Paese. Infine spiega il significato di quel “salva intese” che accompagna l’approvazione del disegno di legge varato dal Consiglio dei ministri. A quei giornalisti, appiattiti sempre e comunque, che avevano osannato Monti perché con quelle due parole apriva a possibili emendamenti da parte del Parlamento, a chi invece intendeva che c’erano ancora possibilità di revisione del testo prima dell’invio alle Camere, Monti ha chiarito: “ Significa “salvo intese” fra i membri del governo e il capo dello Stato".Chiarisce ancora che sul disegno di legge non ci sono varchi aperti.” Esclude categoricamente che “ forze importanti che abbiamo ascoltato ma esterne al governo, possano in qualche modo intervenire. Si tratta di un “processo di affinamento di un testo complesso che non è aperto a contributi esterni” e con queste parole mette a tacere anche quei ministri che avevano osato avanzare critiche e giudizi non proprio in linea con l’operato di Elsa Fornero. Polemizza con Maroni che aveva criticato il suo operato e, finalmente, Monti si decide a prendere le distanze, però solo verbalmente rispetto al governo Berlusconi. "Maroni che è stato un autorevole ministro del precedente governo e porta pesanti responsabilità della situazione che oggi si deve affrontare – ha detto - non può credere a quello che ha detto.”
"L’unica cosa che è stata facile- ha affermato- è stato invertire il corso del precedente governo e abbiamo ritirato il ricorso del governo contro la decisione della giustizia amministrativa che si era opposta. Insomma abbiamo chiuso quegli strani dipartimenti a Monza. Purtroppo crediamo con questo di avere fatto opera squisitamente meritoria sul piano del consenso e della osservanza della Costituzione, ma dal beneficio economico molto modesto".
Poi per bilanciare la stoccata a Bersani e Alfano: “Credo che io sia stato chiamato per rimediare ai mali derivati nel corso di decenni da molte occasioni di ascolto come questa - ha detto Monti - nelle quali chi governava è stato reso talmente sensibile ai problemi delle diverse categorie ed ha tanto cercato di venire incontro a quei problemi per avere poi un consenso che ha finito per prendere decisioni che non hanno poi tenuto presente l'interesse generale". "Non faccio osservazioni puntuali a quanto hanno detto Alfano e Bersani, perché – ha precisato con una battuta velenosa-conosciamo il comune intento e anche le divergenze - ha aggiunto -. Siamo consapevoli che stanno sacrificando alcuni interessi di alcune categorie e anche alcune visioni del mondo che hanno".
Chiude il discorso dicendo che dalla crisi non si esce in cinque mesi o in un anno. Qualche giorno fa aveva detto che si stava uscendo dalla crisi. Ma lasciamo perdere. A Monti interessava sottolineare che "non è richiesto credetemi un prolungamento di una situazione politica atipica ma teniamo basse le aspettative, il Paese non è in situazione in cui si possano fare promesse". Pensava di raccogliere l’applauso della platea di Conf commercio. Niente. Silenzio, assordante, tanto che per rompere un clima di tensione che si è creato ha detto: "Sono sicuro che questi silenzio significhi un grande applauso”. No, era proprio silenzio mentre tante parole venivano pronunciate, sempre a Cernobbio, ma anche in interviste e dichiarazioni.
Per Monti, prima di partire per il viaggio in Asia, non è stata una buona giornata . Solo la colazione offerta dal presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli, una specie di pranzo sociale ad alto livelloha alleggerito una atmosfera pesante. Nella veranda di Villa d’’Este con il premier pranzano Susanna Camusso che siede alla sua destra, il vicesegretario del Pd, Enrico Letta. Poi arrivano Bersani e Alfano, Francesco Rivolta direttore di Confcommercio,,il ministro Gnudi, il banchiere Profumo, Ferruccio De Bortoli, non poteva mancare. Di che si è discusso ? I partecipanti non rilasciano interviste.
sabato 24 marzo 2012
Il grido di dolore di un’operaia sindacalista: “Vietato ammalarsi, vietato dissentire, vietato essere mamma.” La fine della democrazia
È Stefania Fantauzzi, rappresentante sindacale della Fiom Cgil, a spiegarci tutto quello che in Fiat, a Termoli e in Italia, sta cambiando in peggio. Impossibile ammalarsi, impossibile dissentire dalle prescrizioni del nuovo contratto aziendale voluto da Marchionne e impossibile essere mamma, voler seguire i propri figli e rispettare tutte le regole che l’azienda impone. Stefania ci ha parlato anche di articolo 18 definendo le sue modifiche “la fine della democrazia”
Figli da seguire, orari di fabbrica da rispettare e operaie da ascoltare. E’ questa in sintesi la vita di una sindacalista Fiom Cigl della Fiat di Termoli. E Stefania Fantauzzi ha voluto proprio denunciare tutto quello che accade all’interno della fabbrica di Rivolta del Re e in generale anche negli altri stabilimenti Fiat italiani. Una situazione che nessuno oserebbe immaginare perchè in pochi hanno il coraggio di parlare. Con i nuovi contratti che Marchionne ha fatto firmare, così ha esordito Stefania “è vietato dissentire, chi lo fa rischia quotidianamente di andare a casa”. “Un bel giorno - ci ha raccontato con la rabbia di chi vuole che le cose cambino - ci hanno messi davanti a uno schermo e ci hanno illustrato i nuovi contratti. Lo hanno fatto gente con la giacca e la cravatta che non si è mai sporcata, come me e come tanti altri, le mani con i macchinari della catena di montaggio”.
La nostra curiosità è andata naturalmente sul tipo di contratto che è stato somministrato agli operai. E la nostra donna coraggiosa, senza peli sulla lingua, ci ha spiegato tutto.
“Ci hanno chiesto maggiore flessibilità tutto questo con un numero minore di operai in fabbrica. Hanno aumentato la possibilità di fare ore di straordinario, da 40 di prima alle 120 di oggi. Ma la cosa strana è che te le possono chiedere anche durante la pausa mensa se dovessero servire. Con il contratto vecchio venivano pagate il 50% in più rispetto a quelle ordinarie. Ora, mentendo, hanno detto che verranno aumentate al 70%. Ma questo avviene soltanto se arrivi alle terza ora della giornata. Le prime due hanno una maggiorazione del solo 25%. Tutto questo togliendo il tempo al recupero fisico di cui ciascun operaio ha bisogno. Usano una nuova metodologia imparata in Giappone dove sul posto di lavoro bisogna tenere tutto a portata di mano per stancarsi di meno. Ma questo serve soltanto ad aumentare la produzione non ad agevolare il lavoro degli operai della catena di montaggio. Noi siamo stati robotizzati. Ogni giorno quando si va sul posto di lavoro c’è una voce meccanica che ti dice tutto quello che devi fare. E’ un qualcosa che nessuno avrebbe immaginato anni fa prima che arrivasse Marchionne”.
Dopo dichiarazioni forti come queste era logico chiedere alla nostra operaia cosa pensasse lei e quale fosse la posizione del suo sindacato sulla riforma dell’articolo 18 che tutela(va) i lavoratori dai licenziamenti facili.
“Qua di sicuro si vuole imbrogliare qualcuno. Questa riforma è la fine di un percorso di azioni illegittime del Governo Monti. Si crea così una società dove non esiste la democrazia. L’articolo 18 dovrebbe proteggere dai licenziamenti arbitrari e discriminatori. Era nato per difendere tre operai di Melfi licenziati senza giusta causa reintegrati a lavoro da una sentenza del Tribunale. Questa è una situazione che non va bene non soltanto per gli operai Fiat ma per tutti quelli che ogni giorno devono poter garantire la propria sopravvivenza e quella della loro famiglia. La cosa scandalosa è che si può licenziare se la fabbrica ha problemi economici. Altrettanto grave è il taglio che si fa sugli ammortizzatori sociali. Con le leggi precedenti si veniva assistiti per sette anni ora dopo due anni, se non trovi altra occupazione, non puoi più vivere. Non si tratta di benessere ma di pane quotidiano. Ora è più grave rispetto agli anni 40. In quei tempi se si veniva licenziati ci si dedicava all’agricoltura. Dopo 70 anni abbiamo venduto anche le terre e senza lavoro si rischia di non poter sfamare la nostra famiglia. Con il nuovo articolo 18 accade anche un’altra cosa gravissima. Prima era il giudice a decidere se reintegrare o meno il lavoratore. Ora è l’azienda che può licenziare arbitrariamente, solo se un operaio (a responsabilità individuale) sceglie di non condividere alcune parti del proprio contratto di lavoro. A venir penalizzato è soprattutto il sindacalista che lotta. Il quale difficilmente viene reintegrato dopo essere stato licenziato. Se fai parte di un sindacato dissidente come la Fiom nelle commissioni di fabbrica dove ci sono i sindacati aziendali nemmeno ti ascoltano”.
Ad una donna così non potevamo non chiedere se esistono differenze di trattamento sul posto di lavoro tra operai e operaie. Stefania non si smentisce e anche su questo argomento mostra tutta la sua grinta di lottatrice.
“E’ ovvio che sia così. Innanzitutto gli uomini finiscono di lavorare e vanno a dormire per noi il recupero fisico è più difficile. Per questo riscuotiamo meno fiducia da parte del capo quando si tratta di far carriera. Solo il fatto che noi possiamo decidere di avere un figlio li spaventa. Ma io sono convinta di una cosa, i nostri figli sono il futuro della nostra società. Trascurare un bambino oggi significa creare un uomo con problemi domani. Non stargli accanto significa non rispettarlo. Un’operaia come me guadagna mille euro al mese. Per far stare bene i miei figli ho dovuto mandarli negli asili privati di Termoli, dove la retta costa 350 euro al mese per ognuno di loro. Per fortuna i miei tre bambini hanno età diverse e quindi non dovevano stare all’asilo tutti e tre insieme. In passato per il fatto di essere mamma ho avuto un’agevolazione di orario. Iniziavo a lavorare alle 7.45 e smettevo alle 16.15 Anche con quegli orari avevo difficoltà ad accompagnare mia figlia a scuola. A Termoli in nessun istituto scolastico le lezioni iniziano prima delle 8. Non esisteva modo di far collimare gli orari con quelli della Fiat. Ma ora per le donne Fiat è tutto finito nonostante siamo solo il 10% quelle con figli che avrebbero bisogno di questi orari. Nessuno capisce che è difficilissimo far lavorare una mamma su tre turni. Lavorare di notte significa far dormire i propri bambini da soli e dormire solo tre ore per poterli seguire. Andare in fabbrica nel turno pomeridiano invece vuol dire non vederli uscire da scuola (si inizia a lavorare alle 13.30) e non poterli seguire nelle loro attività”.
Ma la novità delle ultime ore è che in Fiat è vietato ammalarsi. E’ la stessa Stefania che ci illustra il problema dopo aver preso confidenza con il nostro organo di stampa
“Ora ci sono nuovi turni e nuovi metodi di lavoro che hanno abbassato la possibilità di assentarsi dalla fabbrica. Il numero massimo di assenze tollerate si è notevolmente abbassato. La novità è che si riunisce una commissione sulla malattia che valuta situazione per situazione. E per chi chiede un numero di giorni inferiore ai sei è solo l’Inps a pagare la sua quota. Quello che spetta all’azienda viene scalato dallo stipendio. Ma accade anche che chi si ammala per periodi lunghi non ha diritto al premio di produzione di 600 euro che la Fiat mette a disposizione”.
Le situazioni appena descritte non lasciano spazio a dubbi. La maggiore azienda automobilistica italiana ha cambiato il modo di rapportarsi con i propri dipendenti. Ai lettori tocca ora capire se in bene o in male.
giovedì 22 marzo 2012
Quello di ieri doveva essere il giorno decisivo per la riforma del mercato del lavoro ma alla fine di una convulsa giornata di incontri e' stato tutto rimandato a domani. Sull'articolo 18 il governo ha illustrato le sue proposte che hanno visto condivisione da parte dei sindacati ad eccezione della Cgil.
"La Cgil ha espresso il proprio dissenso sull'articolo 18, tutti gli altri il proprio consenso. Su questo aspetto per quanto riguarda il governo la questione e' chiusa", ha precisato il premier Monti. Domani si terra' alle 16 l'incontro "finale", ha detto Monti alle parti sociali, dopo una riunione durata oltre quattro ore. In quella occasione si presenteranno i testi conclusivi delle varie posizioni e si fara' un "verbale". Ma Monti ha chiarito che non ci sara' neanche giovedi' la firma di un accordo: "Ho chiarito alle parti sociali che l'interlocutore essenziale del Governo e' il Parlamento. Il dialogo con le parti sociali e' importantissimo - ha aggiunto - ma non riflettiamo una cultura consociativa che in un passato mediamente lontano ha tante volte ritenuto che la cosa piu' importante fosse che il governo favorisse l'accordo con le parti sociali". La riforma, ha sostenuto ancora, "valorizza al massimo e nel modo piu' pieno e come la Costituzione richiede, il ruolo del Parlamento". "Abbiamo pensato che per dare all'Italia piu' capacita' di rispondere alle sfide dell'economia fosse importante ammodernare quel pezzo cruciale dell'economia che e' il mercato del lavoro e il modo di prendere le decisioni che da' massimo rilievo alle parti sociali ma non da' a nessuno il potere di veto".
"Si tratta di una riforma molto comprensiva che tocca diversi aspetti. L'obiettivo finale e' piu' occupazione e meno disoccupazione strutturale", ha detto il ministro del Lavoro Elsa Fornero. "Dobbiamo aumentare l'occupazione di giovani e donne e migliorare la qualita' dell'occupazione che significa riduzione del precariato", ha aggiunto. "Non vogliamo smantellare tutele ma rendere meno blindato il contratto subordinato a tempo indeterminato", ha proseguito. Il contratto a tempo determinato e' "il contratto dominante ma gli altri non li buttiamo via". Per Fornero "la soluzione sull'articolo 18 riflette un equilibrio che consente a qualcuno di dire 'e' troppo' e ad altri di dire 'e' troppo poco'. Sarebbe stato bello avere una condivisione piena da parte di tutti su questa proposta di riforma". La proposta del governo per la riscrittura dell'articolo 18 prevede per i licenziamenti discriminatori la tutela anche alle imprese sotto i 15 dipendenti. Sul fronte dei licenziamenti disciplinari, invece, la parola spettera' al giudice che decidera' il reintegro oppure un indennizzo economico per un massimo di 27 mensilita' tenendo conto dell'anzianita'.
Per i licenziamenti economici e' previsto solo l'indennizzo da un minimo di 15 a un massimo di 27 mensilita'. Per fronteggiare il precariato sara' inoltre contrastata la reiterazione dei contratti a tempo determinato per piu' di 36 mesi e saranno posti "vincoli stringenti ed efficaci" sui contratti intermittenti e quelli a progetto. La riforma degli ammortizzatori sociali entrera' a regime dal 2017. Dura la reazione della Cgil: "Faremo di tutto per contrastare la riforma del mercato del lavoro. La Cgil fara' le mobilitazioni necessarie e non sara' una cosa di breve periodo", ha detto il segretario generale, Susanna Camusso.
Quella sull'articolo 18 "e' una proposta squilibrata sulla quale il governo ha chiesto un pronunciamento unico" e che di fatto fa venir meno "l'effetto dell'articolo 18".
Complessivamente positivo il giudizio della Confindustria: "Abbiamo accolto la richiesta che ha fatto a tutto il mondo delle parti sociali il Presidente Napolitano dimostrando grande senso responsabilita' e abbiamo dato un'adesione complessiva all'architettura complessiva della riforma, ma rimangono alcuni punti su cui lavorare", ha detto il presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia. "In particolare - ha spiegato - ci sono delle norme sulla flessibilita' in entrata che non condividiamo perche' vediamo un irrigidimento eccessivo e vediamo un aumento dei costi per le imprese. Anche il leader della Cisl, Raffaele Bonanni, esprime "un giudizio positivo sulle linee guida della riforma" ma chiede di "lavorare ancora intensamente fino alla fine della settimana per migliorarla".
Cosa prevede l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori che tanto si vuole cambiare e si pensa sia l’origine di tutti i mali dell’Italia?
Cosa prevede l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori che tanto si vuole cambiare e si pensa sia l’origine di tutti i mali dell’Italia? Prevede semplicemente un punto fondamentale che vi è in tutti gli stati europei (escluso il Regno Unito che si sa fa sempre un po’ di testa sua). Il licenziamento deve essere perpetrato solo per ‘giusta causa’. Molti pensano che la ‘giusta causa’ voglia dire che se un’azienda ha problemi economici (vedi il caso della Fiat) non possa licenziare se ci sono contratti a tempo indeterminato. FALSO! Mi sono preso la briga di andarmi a vedere il famigerato Statuto dei Lavoratori ed ecco l’illuminazione:
Il giustificato motivo può essere soggettivo o oggettivo.
Soggettivo (per colpa del lavoratore)
- Abbandono ingiustificato del posto di lavoro (se fai il vagabondo)
- Minacce e percosse (se dai di matto e ti metti a dare capate convulse al datore di lavoro)
- Reiterate violazioni del codice disciplinare di gravità tale da condurre al licenziamento (tra queste vi sono innumerevoli violazioni possibili come la concorrenza sleale all’azienda o la violazione delle norme interne sulla privacy, abuso di fiducia)
- Malattia (se fai risultare che sei malato e non lo sei)
Insomma, non è assolutamente vero che se non fai nulla al lavoro, il povero datore non ti può licenziare. Anzi. Solo che giustamente se sei una persona anziana e, ahimè hai meno forze e produci di meno in una catena di montaggio, non vieni sbattuto fuori. Questa si chiama semplicemente ‘tutela’.
Oggettivo (per colpa non del lavoratore - qui arriva il bello).
- Chiusura attività produttiva (ed entra in gioco la famigerata cassa integrazione)
- Soppressione del posto di lavoro (se per qualunque motivo quel posto di lavoro viene eliminato dell’organigramma aziendale puoi essere licenziato – ovviamente con relativi ammortizzatori sociali)
- Introduzione di nuovi macchinari che necessitano di minori interventi umani (se esistesse una Fornero automatica che piange a comando, perché dare lavoro a quella vera?)
- Affidamento di servizi ad imprese esterne (il cosiddetto outsourcing)
Ricapitolando, questi sono tutti motivi economici. Tant’è che la Fiat ha licenziato a Termini Imerese e mister Marchionne non si è creato alcun problema. Il problema giustamente se lo sono creato i sindacati semplicemente perché (e fortuna che sia così) fanno il loro lavoro.
E quindi… Oibò… Perché cambiare l’articolo 18? Ancora siamo senza risposta. Prendiamo ad esempio un italiano medio impiegato al comune, che si sveglia la mattina, va al lavoro, timbra il cartellino, si siede sulla scrivania, accende il pc e trascorre tutto il tempo su facebook (8 ore lavorative, mi viene anche da dire ‘che sfigato!’), a postare foto e stupidi link. Andando a leggere la ‘giusta causa’ soggettiva (quindi con una colpa legata al comportamento del lavoratore), il simpatico impiegato non sta abbandonando il posto di lavoro (anzi è attentissimo a postare foto davanti al pc), non ha minacciato né alzato le mani a nessuno, non è un finto malato. Al massimo sta violando il codice disciplinare, ma è veramente tanto grave stare tutto il tempo su facebook ed infischiarsene del lavoro bello e sicuro? Per come la penso io è MOLTO grave e merita il licenziamento. Per questo SERVE una modifica dell’articolo 18. (alla tedesca, come si dice in gergo). Ma il contratto a tempo indeterminato (proprio perché si chiama così e l’italiano non è un’opinione), non può essere con licenziamento facile altrimenti c’è il rischio di sminuire le tutele verso il lavoro (specie quello usurante). Una persona sui 60 anni, che lavora in fabbrica da quando ne aveva 23 deve arrivare a 42 anni di contributi (visto che l’attuale governo ha fatto qualche mese fa anche una riforma delle pensioni). Penso sia normale che dopo 37 anni di meccanicità e fatiche, alle 3 del pomeriggio il tizio in questione sia sfinito. In quel caso lo si potrebbe licenziare con la possibilità di cassa integrazione (che è un ottimo ammortizzatore sociale). Nei 15-20 mesi di cassa integrazione il povero operaio deve trovarsi un altro lavoro per pagare gli ultimi contributi mancanti (per poi godersi finalmente la pensione ai Caraibi). E si sa. L’Italia pullula di opportunità lavorative…
Perché è proprio questo il punto focale. Io sono perfettamente d’accordo con Monti, quando dice che ci vuole flessibilità. Sarebbe ottimo vivere in un paese dove se mi licenziano dopo 2 anni, ritrovo lavoro in qualche giorno. Ma questa non è l’Italia. Qui si rimane disoccupati, iscritti agli uffici di collocamento per anni e anni. Qui ci sono zone dove il lavoro nero è regola. Penso che Monti non conosca l’Italia e purtroppo ne ignoro il motivo.
Ci sono punti di questa riforma che approvo, altri che disprezzo. Ma ciò che bisogna sapere sull’articolo 18 è che questa è l’ennesima riforma che viene spacciata come in favore dei giovani, ma che porterà ad una condizione sempre più deprimente di quelle forze fresche che OVUNQUE, fanno il futuro di un Paese. Lo si è fatto sulle pensioni (e lì eravamo quasi obbligati dall’UE per dare garanzie di bilancio). Ma qui? E’ veramente l’articolo 18 il dramma di questo paese?
Un uomo giovane, aitante (quasi finto), è stato intervistato ieri. Quest’uomo gestisce un’azienda molto grande, che si occupa di comunicazione televisiva. La crisi ha colpito anche quest’azienda. Dei rumors dicono che siano previsti dei tagli al personale per sopperire alla crisi di questa azienda. Quest’uomo ha dichiarato che taglierà i costi di quest’azienda del 4-5% pur di evitare i licenziamenti che sono stati paventati. Sarà vero? Sarà falso? Sta di fatto che quest’uomo si chiama Piersilvio Berlusconi ed è folle (se non grottesco), che il figlio di colui che ha reso così precario il mondo del lavoro in Italia dopo circa un ventennio di governo, voglia (in casa sua, nella sua azienda) evitare che la gente si trovi senza un posto di lavoro. Trovo triste che non ci arrivi Monti, un professore abituato ad insegnare a ragazzi. Trovo straziante che non ci arrivi la Fornero, che è donna e come tale saprà cosa vuol dire andare in maternità quando si lavora. Trovo annientante che si pensi a rendere più dinamico il mercato del lavoro non pensando che la competitività di un paese passa anche attraverso una seria lotta alle disuguaglianze sociali (che portano molte donne o extracomunitari a non lavorare o farlo in nero), alla mafia (che deprime una parte del paese totalmente non sfruttata), al precariato (che costringe una buona fetta del paese a non spendere).
Io odio il posto fisso, è bello cambiare lavoro. Sarebbe deprimente fare lo stesso lavoro tutta la vita. Sono d’accordo specie per come sono io caratterialmente. Ma se voglio comprare una casa o una macchina, se non ho un contratto fisso, chi me li presta i soldi? Il topino dei dentini?
L’articolo 18 alla tedesca ti fa cambiare lavoro, all’interno di una stessa realtà aziendale o correlata. L’articolo 18 all’americana ti fa cambiare lavoro e basta (con la speranza di trovarne un altro).
Noi (o meglio chi governa ora) abbiamo scelto la seconda strada.
mercoledì 21 marzo 2012
martedì 20 marzo 2012
voglio vedere la faccia di quelle persone che come me sono lavoratori quanto arrivera la lettera ho il telegramma di licenziamento,che con la scusa dell'economia disastrata dell'azienda senza ammortizatori sociali e cassa integrale straordinaria ed avranno passati gli anta come molte persone italia,pubblici e privati saranno licenziati et troppo vecchi per affacciarsi di nuovo nel mondo del lavoro e troppo giovani di andare in pensione con famiglie a carico li voglio vedere in faccia se come adesso il problema non li tocca,ma siete sicuri che il problema non vi tocca adesso,io se fossi in voi mediterei molto e sarei pronto ad scendere in piazza il piu presto possibile per far si che la riforma del lavoro in questi termini non si deve fare,la flessibilità in uscita e solo un articolo 18 camuffato per far si che i padroni vi possono licenziare facilmente!!!
lunedì 19 marzo 2012
L'articolo 18 tra fatti e propaganda
Chi dice che "in Italia non si può licenziare" mente sapendo di mentire. L'articolo 18 vieta esclusivamente i licenziamenti individuali, cioè di quella particolare persona, "senza giusta causa o giustificato motivo". Qualora ciò avvenga si può ricorrere al giudice del lavoro che, se non riscontra la giusta causa, dispone il reintegro nel posto di lavoro; altrimenti il licenziamento resta valido. Nei ruggenti anni '70 i magistrati tendevano a dar quasi sempre ragione al lavoratore, anche contro l'evidenza dei fatti (colpa comunque non della norma in sé, ma di come era applicata). Ma l'aria è cambiata da un pezzo, tanto nel paese che tra i magistrati, e oggi l'esito di queste cause non è affatto scontato. Quindi, licenziare una persona si può, se ci sono giusta causa o giustificato motivo.
Lo Statuto dei lavoratori si applica soltanto nelle aziende che abbiano più di 15 dipendenti, quindi riguarda circa la metà dei lavoratori dipendenti. E' stato affermato più volte, in passato, che questo costituisce un freno alla crescita dimensionale delle imprese,
Uno degli argomenti più singolari in favore dell'abolizione, che l'ex presidente di Confindustria Antonio D'Amato aveva all'epoca ripetuto più volte, è che "se un imprenditore scopre che la moglie lo tradisce con un suo dipendente non ha la possibilità di licenziarlo". Ora, delle due una: o questi casi sono frequenti, e allora forse gli imprenditori dovrebbero fare più attenzione a chi sposano, oppure, come sembra più probabile, qualche caso del genere sarà pure accaduto, ma non si vede perché qualche evento casuale e sporadico dovrebbe essere ritenuto sufficiente per eliminare una norma che garantisce tutti rispetto a una cosa assai più seria, come l'eventuale arbitrio del datore di lavoro.
Ma al di là di queste motivazioni folcloristiche, che però testimoniano la pochezza delle argomentazioni degli "abolizionisti", nessuno ha mai dimostrato perché mai la possibilità del licenziamento individuale andrebbe a favore di chi il lavoro non ce l'ha o subisce la piaga del precariato. Nessuno ha mai spegato perché mai sarebbe questa la via per far aumentare i posti di lavoro.
L'argomento oggi più utilizzato per sostenere l'abolizione è quello del "dualismo" del mercato del lavoro, diviso tra coloro che sarebbero "iperprotetti" e coloro invece che sono privi di tutte o quasi le protezioni. In quest'ultima condizione si trova la maggioranza dei giovani, il che permette di sostenere un'altra tesi insensata, e cioè che le garanzie conquistate dai padri vanno a scapito dei figli.
Si tratta, appunto, di nient'altro che pessima propaganda. A prescindere dal fatto che, come si è ricordato, circa la metà dei dipendenti non è coperta dallo Statuto dei lavoratori (e certo non sono tutti giovani), c'è un motivo molto semplice per la prevalenza tra i giovani delle forme di contratto precarie: la "Legge Treu", ossia il primo pacchetto di norme che ha introdotto varie tipologie di contratti diverse da quello fino ad allora standard, ossia il contratto a tempo indeterminato, è relativamente recente, del 1997. Le tipologie sono state ulteriormente aumentate dalla legge 30 del 2003 (quella impropriamente definita "Legge Biagi": altro colpo propagandistico). Da allora sono state utilizzate prevalentemente queste forme contrattuali, ed è ovvio che vi siano incappati coloro che entravano sul mercato del lavoro, appunto i giovani.
Ma perché questi nuovi contratti (che sono un numero abnorme: ben 46, come ricorda la Cgil) sono così tanto preferiti al vecchio? Il primo e più importante motivo è che costano molto meno. In molti casi non si ha diritto a ferie, e nemmeno alla malattia. Il carico contributivo, che per i contratti a tempo indeterminato è all'aliquota del 33%, per questi contratti all'inizio era addirittura al 10, e poi negli anni è stata progressivamente aumentata ed è arrivata (dal 2010) al 26,72%, comunque ancora meno di quella standard. Ovviamente, essendo tutti contratti a termine, consentono la massima flessibilità nell'uso della forza lavoro senza alcun problema né normativo né economico.
Questi "contratti senza diritti" hanno favorito o no un boom dell'occupazione? Proviamo ad esaminare qualche dato. Tra il '97 e il 2008 (inizio della crisi e massimo storico dell'occupazione) gli occupati sono cresciuti di 3,225 milioni. Ricordiamo che gli "occupati", secondo la definizione Istat (dalle cui serie storiche sono stati estratti questi dati), sono coloro che hanno svolto almeno un'ora di lavoro retribuito nella settimana della rilevazione. Prendiamo un altro periodo di 11 anni, cominciando dal 1970, anno di entrata in vigore dello Statuto dei lavoratori: tra il '70 e l'81 l'aumento è stato di 1,425 milioni, meno della metà. Naturalmente stiamo valutando questa variazione alla luce di una sola variabile, quella dei cambiamenti contrattuali (e peraltro solo i più rilevanti) senza considerare tutti gli altri aspetti della congiuntura che possono aver pesato. Ma insomma, se si afferma che il problema più serio è l'articolo 18, almeno per avere un'idea è legittimo farlo.
Confrontiamo ora un altro dato, le unità di lavoro. In questa definizione le posizioni lavorative a tempo parziale, principali o secondarie, sono aggregate in modo da formare posizioni a tempo pieno. Quindi si conta, in questo caso, quanti posti di lavoro a tempo pieno ci sono. Dal '97 al 2008 le unità di lavoro sono aumentate di 2 milioni e 268.000. Ma la "tara" di questa cifra è costituita innanzitutto dalla grande ondata di regolarizzazione degli immigrati (circa 700.000); e poi si può supporre che sia stata in questo modo regolarizzata una qualche quantità di lavori che altrimenti sarebbero rimasti in nero: effetto non disprezzabile ma certo non una svolta epocale. Vediamo ora cosa è successo tra il '70 e l'81. Le unità di lavoro sono aumentate di 2 milioni e 110.000: quasi la stessa quantità, e senza regolarizzazioni di immigrati, nonostante l'entrata in vigore del "terribile" articolo 18.
Che cosa se ne può concludere? Che i 46 nuovi tipi di contratti "precari" non hanno generato una creazione di posti di lavoro (quelli li crea la crescita, non le regole contrattuali), ma hanno solo sparpagliato su più persone pezzi di lavoro peggio retribuito ed assistito.
Ma almeno, questo grande aumento della flessibilità nell'uso del lavoro è andato a vantaggio della competitività? Anche in questo caso la risposta è negativa, come tutti sanno. Peraltro, è anche noto che la produttività delle imprese è direttamente correlata alla loro dimensione, ossia sono le più grandi ad essere più produttive. Le più grandi: ossia quelle in cui si applica lo Statuto dei lavoratori con il suo bravo articolo 18. Il che dovrebbe far venire per lo meno qualche dubbio sul fatto che l'uso del fattore lavoro sia l'elemento determinante rispetto a produttività e competitività.
E dunque: è giustissimo proporsi di eliminare il dualismo del mercato del lavoro, ma non è stato finora avanzato un solo motivo valido a sostegno del fatto che ciò debba avvenire riducendo i diritti di quella parte che li ha ottenuti con un lungo e travagliato processo storico. L'unico motivo a cui si può pensare è - non a caso - non detto. Che cioè la libertà di licenziamento possa servire per liberarsi progressivamente dei lavoratori più anziani (quelli stessi a cui si è appena elevata l'età di pensionamento), che hanno il difetto di aver maturato retribuzioni mediamente più elevate, assumendo al loro posto i giovani "a basso costo". Se è così si capirebbe che cosa voglia effettivamente dire che "la protezione dei padri toglie il lavoro ai figli". Ma certo l'impatto psicologico è un po' diverso.
C'è comunque in tutto questo un altro fattore davvero singolare. Non è mai stata la Confindustria - tranne ai tempi del berlusconiano D'Amato - a guidare la crociata contro l'articolo 18. Questo è un tema caro alla cultura di destra, con l'appoggio di alcune personalità che, pur collocandosi nello schieramento di centro-sinistra, di quella cultura hanno evidentemente subito l'egemonia culturale. Anche questo dovrebbe far sorgere qualche dubbio sulla rilevanza per l'economia dell'articolo 18. Si spera che il governo dei tecnici rifletta bene prima di impegnarsi in questa battaglia.
nazionale
Corso Trieste, 36 - 00198 Roma - tel. +39 06 85262341-2 fax +39 06
85303079
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Comitato centrale Fiom-Cgil
19 marzo 2012
Documento finale
La riuscita dello sciopero generale e la straordinaria partecipazione delle lavoratrici e
dei lavoratori metalmeccanici alla manifestazione nazionale del 9 marzo 2012,
conferma la richiesta di un cambiamento delle politiche economiche e sociali fin qui
perseguite dal Governo e dalla Confindustria e rappresenta le ragioni per proseguire
nel contrasto delle scelte della Fiat e di Federmeccanica al fine di affermare la libertà e
la democrazia nei luoghi di lavoro e riconquistare un vero Contratto nazionale.
La vera priorità del paese, economica, sociale e politica, è la riunificazione e
l'estensione dei diritti e della tutela universale nel lavoro, la difesa dell'occupazione, il
superamento della precarietà e la costituzione di nuovi posti di lavoro.
Il Comitato centrale giudica negativamente le proposte avanzate dal Governo in
materia di mercato del lavoro perché:
• non cancella le tante forme di lavoro precario che hanno svuotato di significato
il Contratto a tempo indeterminato e fatto dell'Italia il paese più precario
d'Europa;
• cancella la Cig per cessazione di attività e la mobilità proponendo un modello di
ammortizzatori che nei fatti riduce complessivamente le tutele, non determina
una reale universalità nel sostegno al reddito, si fonda su un sistema puramente
assicurativo e non prevede alcun intervento a carico della fiscalità generale;
• smantella, in modo inaccettabile, il diritto al reintegro previsto dall'articolo 18
dello Statuto dei Lavoratori in caso di licenziamento senza giusta causa e apre,
quindi, alla libertà di licenziamento.
Il Comitato centrale giudica le proposte finora avanzate dal Governo sul mercato del
lavoro, conseguenza della logica che ha ispirato l'intervento sbagliato e inaccettabile
effettuato sulle pensioni, che indica un obiettivo di superamento di un modello sociale
solidaristico.
Il Comitato centrale riafferma la necessità di un'intesa che riduca realmente la
precarietà, cancellando forme di lavoro indecenti quali ad esempio il lavoro a chiamata
e le finte collaborazioni, che estenda realmente e universalmente gli ammortizzatori
sociali a tutte le forma di lavoro e a tutte le tipologie d'impresa e che sperimenti forme
di reddito di cittadinanza.
Occorre garantire l'accesso alla pensione per tutte le persone coinvolte in accordi di
ristrutturazione e di crisi e ripristinare la legge che impedisce le dimissioni in bianco.
Il Comitato centrale respinge ogni manomissione all'articolo 18, del resto affermato
anche dal documento del Direttivo nazionale della Cgil del 27 febbraio e riconferma
quale unica disponibilità al confronto la proposta per una riduzione dei tempi dei
processi.
A sostegno di tutto ciò, in coerenza e in continuità con le ragioni dello sciopero
generale del 9 marzo e della mobilitazione già in corso in queste ore, il Comitato
centrale proclama a partire da martedì 20 marzo almeno 2 ore di sciopero da
effettuarsi in tutti i luoghi di lavoro, con modalità decise dalle Rsu e dalle strutture
territoriali.
Il Comitato centrale ritiene necessario che qualsiasi ipotesi di accordo dovesse essere
raggiunta, sia approvata e sia sottoposta al voto referendario, vincolante, di tutte le
lavoratrici e tutti i lavoratori coinvolti, con modalità che consentano una precisa
informazione e una trasparente e democratica certificazione della volontà delle
persone coinvolte, compreso i giovani e i precari.
Il Comitato centrale considera inaccettabile il tentativo della Fim, della Uilm e di
Federmeccanica di escludere la Fiom dall'1/3 nelle elezioni delle Rsu, in quanto in
violazione delle norme di ultrattività del Ccnl 2008, dell'Accordo interconfederale del
giugno 2011 e delle più normali regole di democrazia e di rappresentanza.
Il Comitato centrale dà mandato alla Segreteria nazionale di convocare nel mese di
aprile l'Assemblea nazionale per definire le iniziative più opportune per la riconquista
del Ccnl sulla base della Piattaforma votata e presentata alle nostre controparti.
Approvato all'unanimità
domenica 18 marzo 2012
Marchionnedemente
Monti travestito da Marchionne
Monti dovrebbe ricordare che è il presidente del Consiglio, non il presidente o l’amministratore delegato della Fiat. Certe sue affermazioni sono sconcertanti, sembra di ascoltare Marchionne e non il capo del governo.“Invece di chiedere conto a Fiat del rapporto tra i generosi finanziamenti pubblici ricevuti a vario titolo e gli investimenti fatti negli stabilimenti italiani, invece di domandare che fine ha fatto il piano fabbrica Italia e pretendere il mantenimento degli impegni presi, Monti legittima la più grande azienda industriale italiana a scappare via dal Paese. Ottimo modo per autorizzare Marchionne a chiudere altri stabilimenti in Italia, dopo quello di Termini Imerese e la Irisbus di Avellino: è questo che vuole il governo? Su una sola cosa Monti ha ragione, serve più rispetto: non è però il Paese che deve rispettare Fiat ma Fiat che deve cominciare a rispettare il Paese e i lavoratori.
Cig e Art. 18
“Il governo farebbe bene a riflettere in maniera seria, e senza pregiudizi ideologici, sullo spaventoso aumento delle ore di cassa integrazione registrato a febbraio. L’inquietante dato diffuso dalla Cgil conferma ancora una volta che l’art. 18 è un falso problema, perché le priorità sono altre: creare occupazione, favorire l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro, avviare vere e strutturali politiche di crescita, attirare le aziende in Italia snellendo la burocrazia e combattendo con la massima durezza la corruzione. E’ su questi temi - conclude Belisario - che bisogna lavorare per trovare una soluzione condivisa, è ora di smetterla con l’inutile accanimento contro l’art.18”.
sabato 17 marzo 2012
giovedì 15 marzo 2012
Personalmente trovo quasi normale che FIM e UILM critichino le motivazioni dello sciopero del 9 Marzo, lo trovo normale per le ragioni sopra esposte ma vorrei lanciare ai loro delegati un appello: il lunedì seguente a questo sciopero accertatevi che l’azienda in cui lavorate non intraprenda provvedimenti disciplinari o più in genere azioni intimidatorie come attribuire assenza ingiustificata a coloro che hanno aderito allo sciopero, fatelo in favore di ogni lavoratore, anche se non iscritto alle vostre sigle, fatelo voi che siete ancora un sindacato riconosciuto dall’azienda, non nascondetevi dietro frasi del tipo “ noi abbiamo avvertito di non aderire allo sciopero” perchè se considerate legittime le vostre posizioni dovete giudicare legittime quelle di quei lavoratori che pensano che sia giusto scioperare e... Fino a prova contraria, la Costituzione di questo paese garantisce ancora la libertà di scioperare. Mi auguro che ne l’Iveco di Suzzara ne altre aziende si vogliano macchiare di una tale infamia.
mercoledì 14 marzo 2012
Fiom-Cgil/Ufficio Stampa
L’Ufficio Organizzazione della Fiom-Cgil ha diffuso in serata il seguente comunicato.
“Migliaia di metalmeccanici in sciopero hanno riempito oggi, a Roma, piazza San Giovanni, mentre la coda del corteo doveva ancora partire da piazza della Repubblica.”
“Una manifestazione grandissima che ha accompagnato l’astensione dal lavoro proclamata per oggi, in tutta Italia, dalla Fiom-Cgil per la riconquista del Contratto nazionale valido per l’intera industria metalmeccanica, Fiat compresa, e a difesa dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori.”
“Sciopero e manifestazione hanno confermato la capacità di mobilitazione delle lavoratrici e dei lavoratori metalmeccanici. In molte aziende, l’adesione allo sciopero è stata superiore al 70%, con punte superiori al 90%.”
“I dati provvisori sono pubblicati sul sito della Fiom (www.fiom.cgil.it). I dati definitivi saranno pubblicati nella giornata di lunedì 12 marzo.”
domenica 11 marzo 2012
Anche Sinistra Ecologia e Libertà oggi sarà a Roma insieme alla Fiom per difendere l'articolo 18, definito «centrale per la tutela della dignità e della libertà nel lavoro». L'adesione allo sciopero generale dei metalmeccanici è stata ribadita dal coordinatore provinciale Claudio Morselli, durante l'incontro di mercoledì sera nella sede del Parco del Mincio a Cittadella.
Partendo dal principio che i diritti degli operai e dei sindacati devono riguardare l'intera democrazia, Sel rilancia l'opportunità di non diminuire le risorse in campo sociale, nel lavoro e a sostegno dell'occupazione in generale. Su questi temi ha invitato il presidente della Provincia, Alessandro Pastacci, a considerarli prioritari nell'azione di governo, mettendo in campo risorse economiche nel bilancio 2012 «che non siano inferiori al 2011, se non addirittura superiori». Una manovra non facile per Palazzo di Bagno, che dovrà fare i conti con un bilancio dimezzato rispetto all'anno precedente. Il partito si batte anche perché venga introdotto dal governo e dalla Regione il reddito di cittadinanza, che garantirebbe ai cittadini un contributo minimo per vivere dignitosamente, disoccupati compresi. «Non è vero che l'articolo 18 frena l'economia, il motivo della riforma sarebbe soltanto politico – ha osservato Morselli – Venticinque anni fa la busta paga degli italiani era la più alta in Europa, oggi è arrivata all'ultimo gradino».
Per questo Sel chiama a un cambiamento di rotta della politica: «Non deve più essere orientata verso il potere finanziario, ma verso il lavoro, mettendo in agenda un piano di investimenti legati alla green economy e all’innovazione e attingendo risorse dalla sospirata patrimoniale, recuperando circa 200 miliardi di euro» ha detto ancora Morselli.
Cristina Beduschi, componente della segreteria provinciale della Fiom Cgil, ha fatto notare che attraverso l'orario flessibile si vogliono portare da 40 a 60 le ore settimanali lavorative, pagandole però con lo stipendio normale, evitando il ricorso agli straordinari. La manifestazione della Fiom ha ottenuto il sostegno anche della federazione provinciale di Rifondazione Comunista.Sono piccolo e debole. Ho bisogno della tua forza e della tua saggezza.
Lasciami camminare tra le cose belle e fà che i miei occhi ammirino il tramonto rosso e oro.
Fà che le mie mani rispettino ciò che Tu hai creato, e le mie orecchie siano acute nell'udire la Tua voce.
Fammi saggio, così che io conosca le lezioni che hai nascosto in ogni foglia, in ogni roccia.
Cerco forza, non per essere superiore ai miei fratelli, ma per essere abile a combattere il mio più grande nemico: me stesso.
Fà che io sia sempre pronto a venire da Te, con mani pulite ed occhi diritti, così che quando la vita svanisce, come la luce al tramonto, il mio spirito possa venire a te senza vergogna.
Preghiera di Yellow Lark, capo indiano Sioux
Abbiamo i politici che hanno stipendi spaventosi, il Vaticano che ha i miliardi e non paga una tassa e poi ci vengono a chiedere i 2 euro con un messaggino e se non lo fai non hai un cuore... Dove cazzo sta tutta questa gente che predica la pace nel mondo e di aiutare il prossimo. Sicuramente in qualche sala del Vaticano a bere Champagne e mangiare caviale...VERGOGNATEVI !!!
Alberto e Federico sono due ragazzi italiani di trent’anni. Hanno lavorato entrambi in un call center: uno in Italia, l’altro a Buenos Aires. Leggete
Buenos Aires. Lo aspettavi. Finalmente arriva. Un lavoro, qualsiasi, non importa. Ora c'è. Si dice sempre che all’estero è più facile, che c’è più lavoro, che c’è un’altra mentalità. A volte è un luogo comune, però non sempre. E la differenza si percepisce anche in quello che è globalmente definito “il terzo mondo”. In Argentina, per esempio, lavorare in un call center è molto diverso dall’Italia. Diverso il contratto, diversi i diritti, diversa l’assistenza sanitaria. E poi pagano, alcuni anche bene.
Alberto e Federico sono due ragazzi italiani di trent’anni che vivono a Buenos Aires da più di due anni. Entrambi hanno lavorato in un call center, solo che Alberto lo ha fatto in Italia mentre Federico in Argentina. Confrontare le due realtà lavorative è quasi come paragonare il primo e il terzo mondo, invertendo le posizioni.
L’esperienza argentina di Federico. «Dopo il colloquio di lavoro e le visite mediche obbligatorie, ho firmato un contratto tipo da impiegato argentino di base. I primi tre mesi di prova (pagati), e una volta finiti il contratto si è trasformato automaticamente a tempo indeterminato.La paga iniziale è di circa 4000 pesos, circa 700 euro netti di stipendio.
Le prime cinque settimane sono state di formazione all'interno dell'azienda e mi sono state pagate come se stessi già sul posto di lavoro effettivo, con un piccolo taglio dovuto al fatto che la formazione durava sei ore al giorno e il lavoro invece otto. La formazione è a discrezione dell'azienda, lasciata totalmente libera di decidere quando e se farla, di solito coincide con le prime settimane dall'assunzione e quindi con il periodo di prova, che è imposto dallo Stato e dura sempre tre mesi. Avere un contratto implica l'iscrizione obbligatoria alla categoria sindacale corrispondente al tipo di lavoro e garantisce una copertura medica standard. Nel mio caso si tratta di un centro di assistenza al cliente che lavora con l'Italia, quindi l'orario è un po' ostico (4-12 am o, quando cambia l'ora in Europa, dalle 6 di mattina alle 14, ndr) e non è raro vedere qualcuno cedere al sonno nella propria postazione per poi essere svegliato all'improvviso, con relativo sobbalzo e rischio di caduta dalla sedia, da una chiamata». L'orario duro è però compensato dall'ambiente di lavoro ottimo, «perché il call center supporta praticamente tutti i principali paesi d'Europa e quindi mi sono trovato a contatto con ragazzi tedeschi, francesi, africani, argentini e inglesi», conclude Federico.
Un orario duro, quindi, ma che con un paio di ore di riposo nel pomeriggio consente ai ragazzi di svolgere anche altre attività e, soprattutto, garantisce un stipendio fisso di base al di sopra della media - a parità di ore lavorative - che permette di essere piuttosto autonomi. E di cercare un altro lavoro, magari con orari più morbidi. Come ha fatto Federico, che tra poco comincerà a lavorare in un altra società, con un incarico amministrativo, entrerà alle 7.30 di mattina e guadagnerà anche qualcosa in più.
Alberto e il vissuto italiano. «Sono arrivato al call center attraverso un'agenzia di lavoro interinale. Avevo già fatto diversi lavori con l'agenzia e mi ero guadagnato una certa fiducia sulla mia responsabilità e l'impegno, quindi il call center è stato una sorta di premio per me e gli altri migliori iscritti. Dopo una serie di colloqui preliminari ci hanno preso in prova (non pagata) per quattro settimane. Il sistema aveva un aspetto molto moderno: l'azienda possedeva un intero palazzo, noi candidati avevamo accesso al pianterreno dove c'erano ampie sale riunioni. Vedevamo passare chi già lavorava con contratto e saliva ai piani superiori. Il mese di prova era composto da un programma misto: da un lato ti insegnavano a lavorare e dell'altro studiavano le tue capacità e valutavano se eri adatto. Si trattava di un “call center outbound”, ossia uno di quelli in cui devi chiamare le persone per vender loro qualcosa.
Una volta assunti, ci hanno fatto un contratto di sei mesi in cui lavoravamo quattro ore per cinque giorni alla settimana, con uno stipendio da 500 euro. Nel contratto c'erano clausole strane. Ti impegnavi a non iscriverti mai a un sindacato, a non aprire né chiudere le finestre degli uffici, a non aumentare o abbassare l'aria condizionata o il riscaldamento. Tra le prime due ore e le seconde due ore era concesso un quarto d'ora di pausa che poi scoprii dovesse essere rispettato in modo ferreo dato che i ritardi venivano decurtati dalla busta paga. Si poteva andare in bagno in caso di necessità, ma quasi nessuno ci andava perché ti metteva in cattiva luce. I capi ufficio, quasi tutte donne, ti incitavano ad essere dinamico, aggressivo. Se un potenziale cliente si indispettiva per la tua telefonata, ti dicevano di insistere: «Non c'è problema se non hai venduto», ti dicevano, «richiamalo subito».
Si lavorava in una stanza molto grande con tanti piccoli box, separati tra loro da quadri di plexiglass: vedevi in faccia tre colleghi, ma non li sentivi. Quando qualcuno chiudeva una vendita importante, si stampava il contratto e lo si attaccava alla parete del corridoio d'ingresso. I contratti più importanti erano attaccati in alto e si creava una specie di piramide pubblica basata sull'importo della vendita. Le chiamate che facevamo erano ascoltate, a volte ce lo dicevano, a volte no. C'era un software per la gestione del portafoglio clienti, mi ricordo che gli appunti che lasciavi dopo aver chiamato a volte cambiavano, come se qualcuno entrasse con il tuo utente.
Una volta siamo andati ad ascoltare come lavoravano i venditori di gerarchia superiore, che si occupavano di rinnovare contratti già esistenti, non di chiamare sconosciuti come toccava a noi. La maggior parte aveva sviluppato un tono inquisitorio e imponeva la vendita più che convincere l'interlocutore. Una volta scaduto il contratto da sei mesi, solo a pochissimi veniva rinnovato. Ricordo che nel mio gruppo, di 15 persone, solo a una ragazza fu rinnovato. Gli altri, tra cui buoni venditori, furono comunque mandati a casa: alla compagnia conveniva formare nuove leve piuttosto che tenere quelle già istruite alle quali avrebbero dovuto aumentare lo stipendio. Io, comunque, mi ero già licenziato per venire in Argentina».