venerdì 8 ottobre 2010

Niente scioperi, niente malattia, mensa, orari, diritto di sciopero e diritti sindacali. E chi non ci sta, fuori dai piedi. L’ordine di Marchionne è stato recepito alla lettera da Federmeccanica che il 7 settembre ha disdetto il contratto nazionale dei metalmeccanici del 2008 firmato oltre che dalla Fiom anche da Fim e Uilm, e convalidato con un referendum in cui votarono 500mila lavoratori nelle fabbriche.

Lo scontro in atto tra la Fiom e Confindustria si annuncia sulla carta estremamente impari visto che il padronato può contare sul sostegno ovviamente del governo Berlusconi e il suo ministro del lavoro Sacconi, che intanto continua a lavorare per demolire definitivamente lo Statuto dei lavoratori, dei sindacati compiacenti come Cisl e la Uil che ormai firmano tutto quello che Confindustria gli mette sotto il naso e anche dell’opposizione parlamentare. Insomma una vera tenaglia in cui vogliono stringere l’unico sindacato che non alza bandiera bianca davanti allo strapotere di questo sistema.

La crisi economica non volge al termine

Dietro la disdetta del contratto dei metalmeccanici del 2008 c’è in primo luogo l’intenzione di puntare all’isolamento della Fiom. Disdire il contratto nazionale è un esplicito atto politico per tentare di relegarla fuori dalle fabbriche togliendogli ogni agibilità sindacale. Se ai padroni e ai cosiddetti dirigenti del centrosinistra preme ridimensionare un’organizzazione che ostacola i loro piani, è invece interesse di milioni di lavoratori e lavoratrici, di giovani e pensionati, disoccupati, precari, insomma tutti quelli che questo sistema e la sua crisi la pagano ogni giorno sulla propria pelle, sostenere la Fiom.

Al contrario di quanto ha sostenuto il ministro dell’economia Tremonti a Cernobbio nell’assise annuale di Confindustria, fresco dell’ennesima finanziaria lacrime e sangue, la crisi è ben lungi dall’essere superata. Lo stesso osservatorio degli industriali e l’Istat lo smentiscono. Non solo la crisi economica non è finita, ma il peggio deve ancora arrivare.

A giugno il tasso ufficiale di disoccupazione era dell’8,5% (2.250.000 disoccupati), il dato più alto dal 1992. Era del 6,5% nel 2008. L’osservatorio di Confindustria prevede, nel caso più ottimista (cioè che entro il 2011 sia riassorbito il 60-70% dei cassintegrati), che si attesterà al 9%. È disoccupato il 26,5% dei giovani sotto i 25 anni, e il 53,6% delle donne. A settembre giacevano sul tavolo del ministero dello sviluppo oltre 170 pratiche di aziende in crisi, per un totale di 200mila posti di lavoro a rischio che andranno a sommarsi ai 600mila persi nel 2009, di cui quasi 200mila al sud. Oltre 380mila dei posti di lavoro persi l’anno scorso sono nell’industria, 80mila nell’edilizia, 97mila nel terziario. Anche la Cassa integrazione è destinata a stabilire nuovi record nel 2010. Si supererà significativamente il miliardo di ore, erano state 918 milioni l’anno scorso, il precedente picco era stato raggiunto nel 1984 con 816 milioni.

A questo va aggiunto che le stime del Fondo monetario internazionale sulla crescita italiana dicono che nel 2010 il prodotto interno lordo crescerà dello 0,9% e nel 2011 dell’1%. Cioè che anche nella situazione più ottimista non solo non si creeranno nuovi posti di lavoro, comunque precari, ma neanche si riassorbiranno quelli persi.

Cifre degne di una guerra



E infatti di questo si tratta, di una vera e propria guerra. Una guerra di classe che in questi anni hanno condotto contro i lavoratori e nella quale hanno riportato numerose e importanti vittorie. Una guerra di classe che allo stesso tempo i padroni capiscono di non aver ancora definitivamente vinto. Cioè di non aver piegato fino in fondo la resistenza dei lavoratori e la loro capacità di poter tornare a lottare per difendere i propri interessi. Quando la presidente di Confindustria si spende a dire che non siamo più negli anni ’70 e che la contrapposizione tra operai e padroni non esiste più, o quando Marchionne dice che il conflitto di classe è finito, tradiscono la preoccupazione che anche se hanno in pugno una parte importante dei vertici sindacali, anche se sono riusciti a ridurre al lumicino i partiti di sinistra, anche se i “riformisti” ormai sono sul loro libro paga, il conflitto sociale può riesplodere. La risposta nel referendum degli operai di Pomigliano, gli scioperi di giugno e luglio, la mobilitazione degli operai di Melfi sono stati qualcosa di più che un preoccupante segnale per loro. Il ritorno di un incubo. Su questo dobbiamo essere chiari, se una cosa l’hanno dimostrata i fatti legati alla Fiat di quest’estate è che un settore importante di lavoratori non si è rassegnato, anzi, sta crescendo un senso di fiducia nelle proprie forze che deve e può contrastare l’arroganza padronale.

Marchionne alla convention di Comunione e Liberazione ad agosto ha detto, tra applausi scroscianti, che dobbiamo ragionare come se fossimo in guerra. La guerra è la sfida della globalizzazione in cui lo scontro è tra multinazionali per sopravvivere nel mercato mondiale. Tutto ciò è vero, solo che noi, le classi subalterne, in questo scontro siamo la carne da macello e loro sono i generali che ci mandano al massacro in nome dei loro profitti.

La verità è che la guerra ce l’abbiamo in casa, noi come i lavoratori di tutto il mondo, ed è contro i padroni. Una guerra che allo stato attuale può sembrare impari solo perché i lavoratori non hanno una direzione adeguata, a cominciare dalla stessa Cgil.

Lo scontro in Cgil



Il sindacato di Epifani se da un lato non ha firmato l’accordo separato sulla contrattazione nazionale del gennaio del 2009, dall’altro si è ben guardata da mettere in piedi una mobilitazione adeguata per demolire quell’accordo. Un minuto dopo ha cominciato a lavorare per tornare a quei tavoli della concertazione da cui Confindustria, Cisl e Uil l’avevano estromessa. Se si esclude quello dei metalmeccanici, la Cgil ha firmato tutti i contratti di categoria successivi dove sono contenute le linee generali dell’accordo separato.

Del resto non è un mistero per nessuno che Epifani non ha sostenuto la Fiom nel referendum di Pomigliano e la Cgil locale si è anche spesa per il Sì al referendum. L’8 settembre, al Comitato centrale della Fiom la maggioranza Cgil ha avallato la spaccatura promossa dalla destra della categoria con un documento alternativo a quello del segretario Landini, in cui di fatto si insinua che la Fiom è avventurista. Facendo un gran favore a Confindustria perché l’immagine che ne emerge è di una categoria lacerata al suo interno.

Lo scontro in atto offre l’opportunità all’area di opposizione che si è costituita in Cgil dopo il congresso, La Cgil che vogliamo, di rafforzarsi in tutte le categorie sostenendo questa importante mobilitazione della Fiom, organizzando i tanti lavoratori e delegati che aspirano ad avere un sindacato che abbia il coraggio di mettere in campo il conflitto davanti all’arroganza padronale.

Ma la nuova sinistra sindacale fino ad ora ha gravemente esitato, divisa al suo interno tra chi è determinato a dar battaglia alla maggioranza della Cgil e chi concepisce l’opposizione come strumento per poter trattare con la maggioranza sulla spartizione di poltrone. Lo scontro tra maggioranza Cgil e Fiom subirà prossimamente un’accelerazione, la futura segretaria Camusso, viene vista con favore da Confindustria perché considerata più appropriata a condurre con decisione questo scontro.

Solo forzando le tappe per strutturare nei luoghi di lavoro, nella battaglia interna alla Cgil, una opposizione combattiva e determinata potremo realmente sostenere i metalmeccanici e rafforzare un’area di sinistra che apra uno scontro anche nelle altre categorie, passaggio ineludibile per fermare la deriva a destra del principale sindacato dei lavoratori di questo paese.

Le condizioni per un’offensiva ci sono

Le condizioni in cui bisogna affrontare questo scontro sono difficili e la mancanza di una sponda politica, di cui da tempo la Fiom lamenta l’assenza, non aiutano e mettono il sindacato dei metalmeccanici in una posizione complessa e di grande responsabilità. Perché la situazione è tale che da questo scontro non si potrà uscire con un pareggio, o la Fiom vince, oppure la diga rischia di crollare.

Il pacchetto di quattro ore di scioperi articolati da fare nel prossimo mese, la manifestazione del 16 ottobre, l’assemblea nazionale dei delegati da svolgersi entro il prossimo gennaio per costruire e promuovere la piattaforma per il rinnovo del contratto di categoria promossi dalla Fiom, sono un punto di partenza per allargare il fronte agli altri lavoratori e i settori sfruttati in questa società. Alcuni sono già in lotta, come i precari della scuola. L’unificazione delle vertenze è decisiva in questo momento.

La manifestazione del 16 ottobre non può e non deve essere una manifestazione rituale. I padroni e il governo non si fanno impressionare da 100mila o anche un milione di lavoratori in piazza il sabato. La manifestazione deve essere l’occasione per costruire un percorso che promuova una chiara alternativa a partire dallo sciopero generale contro il Governo e il piano Marchionne.

Il compito della sinistra oggi è rafforzare lo schieramento che sostiene la Fiom nella Cgil e il sindacalismo di classe in generale e sul piano politico aggregare tutti coloro che rifiutano il quadro di una nuova collaborazione di classe così come proposto dal Pd di Bersani o da Sinistra e libertà di Vendola. Soprattutto il Prc dovrebbe abbandonare il progetto senza speranze della Federazione della sinistra e mettere tutte le proprie forze a disposizione della promozione di un partito di classe, partito che può nascere solo sulla base dell’esperienza della Fiom e del conflitto sociale, avanzando quelle proposte e piattaforme che possano coinvolgere il movimento reale in campo su una prospettiva anticapitalista. In questo quadro il Prc ha dunque un compito decisivo, non solo deve sostenere con tutte le proprie forze la Fiom ma spendersi in modo decisivo nella riuscita della manifestazione del 16 ottobre. è necessario dunque prendere le distanze da chi come Lavoro Società, compagni che aderiscono alla Federazione della sinistra, nel Comitato centrale della Fiom hanno sostenuto il documento alternativo presentato dalla destra di Epifani.

Partecipiamo convintamente a questa manifestazione non solo perché stiamo con la Fiom e gli operai della Fiat, ma anche per lavorare a un nuovo progetto politico che miri alla trasformazione della società e alla fuoriuscita dal capitalismo e dalla sua crisi.

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