Ospite del salottino VIP di Fabio Fazio alla RAI, Sergio Marchionne ha pontificato sulla Fiat e gli operai, ha ironizzato sui sindacati anche quelli “buoni”, ha detto che l’Italia è un peso per la Fiat ma non ha sciolto le riserve sugli investimenti promessi, sui famosi 20 miliardi di euro che Fabbrica Italia dovrebbe spendere entro il 2014. Sono passati quasi sei mesi da quando Sergio Marchionne annunciò a Torino il lancio dell’ambizioso progetto “Fabbrica Italia”. Un piano che prevedeva, entro il 2014, la realizzazione di investimenti per 20 miliardi di euro in Italia, il raddoppio della produzione nazionale da 650mila a 1,4 milioni di vetture, 10 nuovi modelli e il restyling di altri 6 vetture. Ma a tutt’ oggi “Fabbrica Italia” è ferma, non è stato investito neanche un euro. Nei cinque stabilimenti italiani della Fiat si realizzano oggi 650 mila auto all'anno con 22.080 dipendenti. In Polonia, c'è la produttività per addetto più alta: cento auto all'anno costruite da ognuno dei 6.100 dipendenti, quasi quattro volte la produttività italiana, ma molti lavoratori polacchi hanno scelto di tornare a lavorare nelle miniere perché l’intensità di sfruttamento alla Fiat è insopportabile. Il Brasile si colloca al di sotto della Polonia (77,6 auto per addetto) ma comunque va oltre il doppio della produttività italiana. La media per addetto sommando la produzione delle tre aree principali dove si producono le auto dei marchi Fiat è di 53,2 auto per addetto, comunque quasi il doppio della media italiana. Prima della crisi, quando la cassa integrazione non la bloccava per mesi interi, la produzione italiana era comunque di 900 mila auto all'anno e la media per addetto era di 40 vetture. Ma a Pomigliano le linee sono praticamente ferme in attesa della partenza della produzione della nuova Panda e a Mirafiori si aspetta di capire quale sarà il futuro visto che Idea, Musa e Multipla finiranno presto di essere prodotte e il nuovo monovolume previsto andrà in Serbia. A Torino l'unico modello che oggi tira è la Mito. Su Termini Imerese è stata detta da tempo la parola fine. Melfi produce da sola la metà della produzione italiana. Difficile dunque immaginare che il divario della produttività degli stabilimenti Fiat possa essere superato solo intervenendo sul costo del lavoro che, secondo Marchionne, incide per l'8% sul costo finale. Questa situazione di stallo è preoccupante e delude anche i sindacati collaborazionisti, più che bendisposti a raccogliere le esigenze organizzative e produttive della Fiat. Anche ieri nell’intervista con Fabio Fazio, Marchionne invece di mettere sul tavolo modelli, fabbriche, numeri, ha usato le parole e lo stile già impiegati nei mesi scorsi per mettere i sindacati con le spalle al muro. La Fiat vuole garanzie sulla governabilità delle fabbriche, e i sindacati sono pronti a negoziare. Ma dopo lo strappo di Pomigliano d’Arco, dopo la vittoria del sì al referendum nella fabbrica campana, dopo la disdetta del contratto dei metalmeccanici, dopo le deroghe immaginate per andare incontro alle esigenze della Fiat, che cosa vuole ancora Marchionne? Quali altre garanzie desidera? Nei giorni scorsi si è parlato dell’ipotesi di «andare oltre Pomigliano», come se le condizioni di lavoro stabilite per quell’impianto, con una chiara compressione dei diritti e delle garanzie dei lavoratori, non fossero sufficienti e avessero bisogno di ulteriori ritocchi o inasprimenti. L’impressione è che Marchionne, pur mantenendo fermo l’impegno a investire in Italia e volendo anche recuperare un rapporto costruttivo con la Cgil, si trovi oggi in una situazione di grande difficoltà in larga misura determinata dal crollo del mercato in Italia e in Europa, e dalla necessità di finanziare un piano di investimenti di 20 miliardi di euro battendo di nuovo cassa allo Stato. |
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