ROMA - "No, non avrei mai pensato di poter diventare il segretario generale della Cgil. E' una roba che può anche mettere il panico. Ma la Cgil è un collettivo, una grande rete. Da noi non c'è il leaderismo. Il segretario non viene nemmeno scelto al congresso. Non facciamo le primarie, noi. In Cgil c'è un'idea di responsabilità collettiva". Eccola Susanna Camusso, cinquantacinque anni, milanese, professione sindacalista. Donna. La prima a guidare il più grande sindacato italiano, nella stagione della crisi industriale più radicale. Il sindacato più rosso. L'unica organizzazione di massa social-comunista che ha attraversato il Novecento ed è entrata nel nuovo secolo senza cambiare nome e neanche missione. La Cgil è rimasta la Cgil, nel bene e nel male. Si è solo aggiornata, lentamente. Tanto che ora sceglie di essere guidata da una donna. E Susanna Camusso è profondamente intrisa di questa cultura. Da trentacinque anni la Cgil è molto più del suo lavoro. E' una militanza, di quelle un po' retrò che si vivono con passione, e che non ammettono mezze misure.
Mancano ancora due giorni alla sua elezione al vertice di Corso d'Italia, sulla poltrona che fu di Giuseppe Di Vittorio, di Luciano Lama, di Bruno Trentin, di Sergio Cofferati. Guglielmo Epifani, il primo socialista segretario generale, lascerà dopo otto anni. Camusso parla con ritrosia del suo futuro per rispetto del Direttivo che la eleggerà. Ragiona sul sindacato interrotta da decine di telefonate sul suo cellulare che suona Bob Dylan, "Blowing in the wind". Sono i "compagni" delle strutture di tutta Italia che la chiamano per aggiornala sulle vertenze della crisi e chiederle consigli. Susanna Camusso conosce anche i dettagli di tutte le ristrutturazioni aziendali. E' puntigliosa, metodica, anche un po' secchiona. Fuma una sigaretta dopo l'altra. Gli occhi color ghiaccio fissi. Sembra una lince. Si rilassa solo quando arriva la telefonata della figlia Alice, 22 anni, studentessa alla Normale di Pisa. L'altra sua grande passione.
Eppure sindacalista è diventata per caso. Dice: "Non si sceglie di fare la sindacalista. Ma poi può diventare una straordinaria avventura". Come quelle vissute in mare, al timone di una barca a vela che Susanna Camusso affitta ma non ha mai posseduto. Lei è la quarta di quattro sorelle di una famiglia piccolo borghese di sinistra. Nascono tutte a Milano, ma vivono molti anni ad Ivrea. Lorenzo Camusso lavora nella Comunità di Adriano Olivetti, la madre, Giulia, è una psicologa. "Avevamo una casa piena di libri. Leggere e studiare era normale". Come era normale, in quei primi anni Settanta, per uno studente universitario (Camusso si iscrive a Lettere antiche) incrociare la Flm, la Federazione unitaria dei lavoratori metalmeccanici. Una sigla mitica per le lotte operaie. Voleva dire Fiom, Fim e Uilm insieme, unite. Impensabile oggi nel nuovo secolo delle fratture sindacali. Camusso diventa "Susanna delle 150 ore". Si occupa del coordinamento delle ore di studio per i lavoratori meno scolarizzati. L'emancipazione operaia si fa anche così.
Negli anni Settanta Milano è ancora una città industriale. Camusso milita prima nel movimento studentesco, poi lascia l'università ed entra nella Fiom di Milano. Il capo è Antonio Pizzinato che, per una breve stagione, sarà anche segretario generale della Cgil. Ogni mattina si va in fabbrica a parlare con gli operai, a fare proselitismo. La fabbrica di Susanna è l'Ansaldo. Lì si farà le ossa. Vive gli anni di piombo così. Entra nel Psi. "Ma non sono mai stata craxiana. Ero della sinistra". Fabbriche, politica e femminismo. Perché quelli sono gli anni delle grandi battaglie per i diritti delle donne. Solo nel '93 Fausto Vigevani, primo socialista a guidare la Fiom, la chiama a Roma nella segreteria nazionale, nell'aristocrazia del sindacato di sinistra. Con la delega più prestigiosa: l'auto, cioè la Fiat, il padrone vero. A Vigevani succederà Claudio Sabattini, il teorico della Fiom "indipendente", quasi un partito del lavoro. Camusso, socialista e riformista non è dei suoi. Lo scontro tra i due sarà durissimo. Camusso viene rimossa dopo un accordo con la Fiat. Lei parlerà di "metodi stalinisti". Resta per un po' alla Fiom poi torna a Milano, prima tra gli agro-industriali, poi come numero uno della Cgil lombarda. A Roma la richiama Epifani, nel 2008. Ormai è la predestinata. E ora dovrà fare i conti con la sua Fiom e con le divisioni senza precedenti tra Cgil, Cisl e Uil. Sullo sfondo c'è la sagoma di Sergio Marchionne, l'italo-canadese che ha deciso di cambiare le relazioni industriali italiani, provocando fratture e sfidando proprio il "collettivo" della Cgil. "Servono le nuove regole sulla rappresentanza", ribatte Camusso. Inizio delle trattative.
lunedì 1 novembre 2010
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