venerdì 24 giugno 2011

Questi anni alla Fiom
Bilancio di stagione per Landini. Dalla Fiat a Confindustria.«Il lavoro è un bene comune».
Era questo lo slogan lanciato dalla Fiom il 16 ottobre 2010 in occasione dello sciopero generale organizzato dal sindacato dei metalmeccanici. Un leitmotive che in questi mesi ha attraversato piazze, fabbriche, aule universitarie, urne elettorali, tavoli sindacali e ministeriali per diventare il motto ufficiale di un compleanno importante: i 110 anni della Fiom, i cui festeggiamenti finali avranno luogo nel week end del 24 giugno a Sesto San Giovanni, in provincia di Milano.
Un anniversario quello del 2011 a cui la Fiom è arrivata con qualche acciacco. È stato un anno difficile quello che l'organizzazione sindacale dei metalmeccanici ha dovuto affrontare. Dall'accordo separato di Pomigliano a quello di Mirafiori, dalla dismissione di Termini Imerese alla causa legale intentata contro la Fiat e che probabilmente si concluderà il 16 luglio.
UN ATTACCO ALLA DEMOCRAZIA. Un anno intenso per un sindacato che ha lottato contro tutto e contro tutti per ribadire l'importanza del contratto nazionale di lavoro in un momento in cui quelli “ad aziendam” si impongono sulla scena lavorativa italiana.
«Se in questo Paese si arrivasse a fare provvedimenti di legge che recuperino l'idea di mettere in discussione il contratto nazionale di lavoro, sarebbe un attacco alla democrazia senza precedenti», ha detto il segretario generale della Fiom Maurizio Landini che della lotta per il contratto nazionale ha fatto il suo cavallo di battaglia.
Il 24 giugno, mentre a Roma era in corso il tavolo Confindustria-sindacati sulle regole della rappresentanza e dell'esigibilità dei contratti e sotto la Madonnina una settantina di operai della Lucchini Severstahl di Piombino manifestava davanti a Mediobanca per chiedere all'istituto di Piazzetta Cuccia di aderire alla rinegoziazione del debito bancario e salvare 3.200 dipendenti, il capo della Fiom è arrivato alla Camera del lavoro di Milano e dopo aver presentato il programma dei festeggiamenti finali dei 110 anni della Fiom ha raccontato a Lettera43.it le emozioni e le aspettative di quest'anno di lotte sindacali e legali.DOMANDA. Qual è stato per la Fiom il momento più difficile di quest'anno?
RISPOSTA. Sicuramente quando è stato siglato l'accordo separato di Pomigliano. In quel momento la Fiom era sola, tutti ci dicevano che facevamo un grosso errore a non firmare.
D. Avete iniziato a pensare che avessero ragione?
R. No, mai. È stato un momento molto complicato, ma subito dopo abbiamo avuto una conferma che la nostra scelta era quella giusta.
D. Da parte di chi?
R. Dei lavoratori di Pomigliano. Penso che è proprio grazie alla loro dignità che si è aperta una fase nuova di questo Paese.
D. Soprattutto per voi?
R. Sì, il fatto che a Pomigliano i nostri lavoratori non abbiano accettato il ricatto, che i 3 operai licenziati a Melfi abbiano ribadito che volevano lavorare, sono eventi che hanno dato visibilità alla contrarietà della Fiom. Da soli senza il consenso delle persone non saremmo andati da nessuna parte.
D. In lotta con l'azienda, criticati dai politici e condannati dagli altri sindacati. Vi siete sentiti messi in un angolo?
R. No, per me un sindacato è isolato quando le lavoratrici e i lavoratori che rappresenta non lo seguono più. Io questa sensazione non l'ho mai avuta, anzi ho sempre visto un consenso che da Pomigliano in poi non ha fatto altro che crescere dentro e fuori le fabbriche.
D. Con le istituzioni però lo scontro c'è stato.
R. Questo è successo a causa di una arretratezza dell'analisi delle forze politiche, anche della sinistra, sul problema del lavoro.
D. Che tipo di arretratezza?
R. Un anno fa qualcuno ci spiegava che quell'accordo l'avremmo dovuto firmare perché era il male minore e che non sarebbe successo nient'altro. Mi pare che dopo un anno si è capito che quella era una strategia precisa e a lungo termine.
D. Piero Fassino, che davanti ai cancelli di Mirafiori promuoveva l'accordo, si sarà ricreduto?
R. Non credo, forse continua a pensare le stesse cose. A ricredersi sono state però tante persone normali. Dal 16 ottobre in poi c'è stato un consenso senza precedenti alle nostre battaglie, perchè il lavoro è un bene comune.
D. Come canterebbe Franco Battiato, più che un vento, è un sentimiento nuevo?
R. Credo che la novità vera sia stata che per la prima volta, dopo tanti anni, in Italia su una piattaforma sindacale, su una lotta dei lavoratori, è stato possibile costruire un movimento di cui facevano parte gli studenti, i precari, i movimenti ambientalisti quelli che si battevano per il referendum.
D. Quella della ex Bertone però è stata una battosta per la Fiom, le vostre Rsu hanno firmato l'accordo.
R. No anzi è stata una scelta motivata e precisa. Insieme ai delegati abbiamo deciso di dire: «Non sono i lavoratori che si auto licenziano». E sono gli stessi operai che hanno chiesto alla Fiom di andare avanti e non firmare. Tanto che finite le assemblee abbiamo fatto 21 nuovi iscritti.
D. Avete rischiato di dividervi?
R. Certo la nostra è stata una mossa azzardata, d'altronde la Fiat l'ha fatto apposta, pensava che alla Bertone poteva darci una botta.
D. Perché?
R. Lì siamo maggioranza, pensavano che con il nostro voto ci saremo auto licenziati.
D. Invece le vostre Rsu hanno firmato ma la Fiom no, anzi ha fatto causa alla Fiat per il contratto di Pomigliano.
R. La nostra mossa non se l'aspettava nessuno e ha creato problemi alla Fiat e agli altri sindacati perché non credevano che riuscissimo a uscire dalla trappola in cui loro avevano cercato di metterci.
D. Processo a Torino: se il giudice vi darà ragione e imporrà alla Fiat di applicare il contratto collettivo nazionale di lavoro, l'azienda potrebbe decidere di chiudere. Vi sentireste responsabili per quei lavoratori?
R. No, sono convinto di aver fatto la cosa giusta perché è l'unico modo per difendere le persone che rappresento. Se vinciamo, il problema non è nostro ma di chi dice che se ne va via perché non vuole applicare le leggi e i contratti.
D. Della Fiat quindi?
R. Troverei singolare che in questo Paese un'azienda possa dire che non fa più impresa perché è costretta a rispettare la legge. Vorrebbe dire che le aziende che invece lo fanno sono dei coglioni. Sarebbe un problema del governo, delle istituzioni e delle forze politiche.
D. Allora sareste voi a mettere la Fiat in un angolo?
R. La nostra dal punto di vista sindacale è una posizione moderata, noi chiediamo solo che si applichino le leggi, mica vogliamo la riduzione di orario o il raddoppio degli stipendi o cose per cui non ci sono le condizioni.
D. Anche la Confindustria sta soffrendo le decisioni della Fiat?
R. Sì, la Confindustria sta rincorrendo la Fiat perché se passa l'idea che si può uscire da Confindustria e non applicare i contratti, perché mai le imprese dovrebbero organizzarsi in associazioni?
D. Qual è la sua difficoltà?
A. Fatica a rappresentare e a difendere gli accordi che sottoscrive.
D. Il problema della rappresentanza allora è tutto italiano?
R. Sì, in questo Paese vale per tutti, è anche vero, però, che l'Italia ha un modello sindacale tra i più avanzati.
D. Perché?
R. Abbiamo il contratto nazionale, la contrattazione aziendale e addirittura le Rsu come soggetto eletto dai lavoratori che può contrattare.
D. Per questo dicono che è troppo complicato e che negli Stati Uniti è tutto più semplice?
R. No, sono solo diversi. In America non c'è la confederazione, il sindacato è un'associazione di mestiere, di mercato, non esiste il contratto nazionale quindi neanche una solidarietà tra i lavoratori. Il modello è totalmente aziendale e corporativo.
D. Ma se siete così diversi, che punto di accordo troverete con il leader del sindacato americano Uaw Bob King con il quale scriverete una lettera di richieste a Sergio Marchionne?
R. Anche negli Stati Uniti vogliono cambiare. Se si è arrivati alla bancarotta di Chrysler e General motors è perché quel sistema non ha funzionato. La sanità e la pensione sono aziendali e continui a pagarla anche agli operai che vanno in pensione. Questo ha messo in crisi il sistema quando sono arrivate aziende giapponesi e cinesi che potevano applicare condizioni diverse. Non avere contratti nazionali nè uno stato sociale è un problema. Per questo nella rete mondiale di sindacati che costruiscono auto dobbiamo lavorare per far applicare i diritti e impedire che ci sia competizione.
D. Cercate l'unità a livello mondiale ma siete sempre più divisi a livello nazionale?
R. Cisl e Uil stanno puntando a un altro modello sindacale. Per loro la contrattazione non è più l'oggetto centrale, davanti a questa situazione di crisi dicono che non c'è nulla da fare, che bisogna accettare quello che sta succedendo, e vogliono ricavarsi un ruolo più di servizio.
D. Assistenza ai pensionati e ai disoccupati?
R. Non a caso stanno dicendo che bisogna fare gli enti bilaterali, che imprese e sindacati insieme gestiscano le assunzioni, la formazione, la cassa integrazione e i servizi. La diversità tra la Cgil e gli altri sindacati è che noi crediamo che la contrattazione sia la nostra missione e che sia ancora possibile.
D. Rottura definitiva allora?
R. Se non si definiscono regole democratiche che gestiscono i dissidi tra i sindacati sì. La storia del sindacato italiano è sempre stata caratterizzata dall'unità di azione. Oggi questa unità non c'è più e per questo credo che far votare i lavoratori sia l'unica soluzione per tenere unite persone diverse.
D. Democrazia sindacale diretta?
R. Solo così si possono gestire situazioni difficili quando i sindacati hanno idee diverse, anche perché altrimenti in assenza di queste regole, sono le imprese che decidono al nostro posto.
D. Avete mai pensato di fare come la Germania dove per superare la crisi i sindacati hanno fatto una sorta di patto di non belligeranza con le aziende mettendo in deroga i contratti nazionali?
R. È vero la Volkswagen è passata da 28 ore a 33, ma in Italia se ne fanno già 40, poi non hanno chiesto aumenti salariali ma gli operai prendono uno stipendio di 2.200 euro al mese, qui da noi ne guadagni 1.300. E poi c'è stato anche un accordo: in Germania non hanno chiuso fabbriche, non hanno fatto licenziamenti, qui sì.
D. Ma voi perchè non siete riusciti a contrattare su niente?
R. Nel rinnovo del contratto del 2008, per evitare gli accordi separati, avevamo proposto a Film, Uilm e Federmeccanica di fare un accordo ponte con un aumento una tantum salariale e il blocco dei licenziamenti, ma ci hanno detto di no. È singolare allora che si dicano facciamo come fanno i tedeschi e poi quando glielo proponi non lo fanno

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