venerdì 10 giugno 2011

Legge delega sul fisco, cioè campa cavallo che la tassa cala. I tre bluff di Berlusconi

ROMA – Amministrative perse malamente, sconfitte in aula, referendum a rischio quorum alle porte, verifica parlamentare il prossimo 22 giugno, la Lega che scalpita e i Responsabili che sono sempre meno responsabili. Per Silvio Berlusconi non è un momento facile. Alcuni, persino all’interno del Pdl, cominciano a paventare l’ipotesi che il berlusconismo sia ai titoli di coda. Il Cavaliere, da navigato uomo della comunicazione qual è, tenta di riguadagnare terreno. Ci prova puntando su un tema caro e noto al popolo, la riduzione delle tasse. Un tasto che da sempre porta consensi quando toccato. Punta molto sulla riforma fiscale il presidente del consiglio, forse tutto. Conferenze stampa e titoloni, che tutti lo sappiano. Ma è un bluff. Berlusconi non ha le carte, ma deve per forza prendere il piatto. E allora decide di bluffare. Mossa obbligata al tavolo verde, azzardata in politica. Ma se il bluff viene scoperto, si perde tutto. Berlusconi annuncia la riforma che verrà, ma non dice e tace su alcuni punti. Sono tre i trucchi, non le bugie ma le mancate verità, del premier.

I quotidiani titolano “Berlusconi promette la riforma del fisco entro l’estate”, e in questo collaborano colpevolmente alla prima mancata verità. Il Cavaliere in realtà era stato più corretto, aveva parlato di “legge delega” per la riforma fiscale. Sperava probabilmente, in cuor suo, che tutti sentissero solo le parole “riforma fiscale”, e così è stato. Confidando che la definizione di legge delega, un tecnicismo perbacco, venisse omessa. Ma cos’è la legge delega? Nel diritto costituzionale italiano si chiama legge delega una legge approvata dal Parlamento che delega il Governo a esercitare la funzione legislativa su di un determinato oggetto. L’atto con forza di legge emanato dal Governo in base alla legge di delega è detto decreto legislativo (o anche decreto delegato, denominazione sovente usata nel testo della legge delega stessa). L’articolo 76 della Costituzione regola l’istituto della legge delega e del decreto legislativo. Essa è una legge ordinaria, approvata quindi dal Parlamento attraverso il normale iter procedurale (se così non fosse e, per esempio, fosse ammesso l’uso di decreti legge o la questione di fiducia, per il Governo sarebbe facile sostituirsi integralmente al Parlamento e di fatto legiferare senza controllo sostanziale) e conferisce la delega solo al governo inteso nella sua collegialità (ossia al Consiglio dei ministri, non al singolo ministro). Nella legge delega devono essere fissate obbligatoriamente alcune indicazioni minime, dette contenuti necessari: un oggetto definito; un tempo massimo entro il quale promulgare il decreto legislativo; una serie di principi e criteri direttivi ai quali il decreto legislativo deve attenersi; eventualmente, una serie di norme procedurali che impongono al Governo di sottoporre lo schema del decreto a determinati organi competenti (parere obbligatorio ma non vincolante). Oltre i 24 mesi di durata della delega, il parere delle competenti commissioni parlamentari diventa obbligatorio anche se non direttamente richiesto dal testo della legge. I soggetti interessati dalla legge delega e le parti istituzionali che ne hanno facoltà, possono sollevare quesito di incostituzionalità in Consulta per eccesso di delega, se il decreto del Governo eccede gli ambiti della legge-delega conferita dal Parlamento, in violazione dell’art. 77 della Costituzione.

Tradotto? Berlusconi praticamente annuncia il nulla. Annuncia che entro l’estate il Parlamento darà la delega al Governo di mettersi al lavoro su una riforma fiscale. Ma non ne definisce, e non potrebbe fare altrimenti, i tempi e i modi. Annuncia quindi che si lavorerà ad una riforma. Non è una gran novità l’idea che il Governo pensi ad una riforma, sarebbe in qualche modo il suo compito. E’ questa la prima mancata verità del Cavaliere, per carità, Berlusconi non è uomo da tecnicismi e non ci si aspetta da lui che spieghi la differenza tra legge delega e riforma. Ma almeno i giornalisti potrebbero assolvere a questo ruolo. E ricordarsi e ricordare che legge delega sul fisco è come dire: campa cavallo che la tassa cala.

Non parla mai poi il presidente del consiglio, e siamo alla seconda mancata verità, dell’“invarianza di gettito”, formula di tremontiano conio che lega tutte le eventuali riforme alla condizione che non muti il monte incassi dello Stato. In altre parole se le tasse diminuiscono, se diminuisce il prelievo fiscale sul reddito, bisogna recuperare quei denari in meno che entrano da altre parti. Per esempio mettendo mano a quel tesoro costituito dalle agevolazioni e dagli sgravi. Invarianza di gettito che è una condizione obbligatoria per la sopravvivenza dell’Italia, lo dicono i mercati e lo dice l’Europa, come lo dice anche un impegno esplicito, e guarda caso non citato, firmato da Berlusconi in persona. La riduzione delle tasse è una pia iniziativa, ma senza l’invarianza di gettito l’orizzonte diventa quello greco. Se si riducono le tasse e non si recuperano i soldi da altre parti la nostra economia rischia, concretamente, di finire gambe all’aria. E Berlusconi glissa simpaticamente su questo aspetto. Parlarne non è comunicativamente vincente, e quindi silenzio. Tradotto? Meno Irpef, le prime due aliquote più basse o addirittura tre nuove aliquote, 20, 30, e 40 per cento si finanziano con più Iva e con tagli alle attuali esenzioni fiscali, ad esempio la tassazione più bassa per l’acquisto della prima casa, le detrazioni per la retta della mensa scolastica, i sussidi all’agricoltura o allo sport…Sai che Babele, che rissa se Berlusconi avesse detto “invarianza di gettito” e qualche giornalista gli avesse domandato di fare qualche esempio.

La terza, e ultima per il momento, mancata verità, o trucco comunicativo del Cavaliere riguarda infine il “close to balance”. Usa l’inglese il premier per dire che l’Italia, entro i prossimi tre anni, deve sfiorare se non raggiungere il pareggio di bilancio. Non esterofilia o anglofilia in questo caso, e nemmeno citazione forbita. Ma semplice desiderio di non farsi capire da tutti e confondere un po’ le acque. Dice Berlusconi che per questo obiettivo l’Italia farà ritocchi sul Pil nella misura dello 0,7 per cento, cioè circa 8 miliardi di euro. Ma non dice, né il presidente del consiglio né nessun altro, che con questa cifra il pareggio rimane un miraggio. Tanto più che la cifra detta non vale per il 2011, anno in corso, né per il 2012, anno probabilmente d’elezioni o comunque preelettorale. Anno in cui il cittadino elettore non va turbato. Quindi 0,7 del Pil per il 2013 e 2014, cioè 15/20 miliardi di euro. Ma matematica dice che per il pareggio del deficit, impegno già firmato da Berlusconi, di miliardi ce ne vogliono il doppio. Il pareggio del deficit rimane a queste condizioni impraticabile, anche se nella realtà dei fatti è una condizione obbligatoria per il nostro Paese.

Berlusconi è uomo della comunicazione, è sempre risorto anche e soprattutto grazie alle promesse fatte in pompa magna e poi solo saltuariamente realizzate. La formula a cui si affida per uscire dall’angolo in cui si trova è la stessa di sempre. Signori, non c’è trucco e non c’è inganno… Ma guardando attentamente le mani del prestigiatore il trucco si trova sempre. E in questo caso i trucchi sono tre.

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