mercoledì 30 novembre 2011
martedì 29 novembre 2011
La mano della speranza - Hand of hope
lunedì 28 novembre 2011
Mentre domenica 27 novembre il Tg5 batteva la concorrenza del Tg1, in Rai si è scoperto che il telegiornale più seguito della giornata è stato il Tg3, con quasi il 18% di share. Tradotto significa che qualcosa è cambiato, perché i telespettatori hanno preferito al prodotto «nazionalpopolare» di RaiUno quello fazioso di RaiTre.
Intanto nella redazione del Tg1 il clima è sempre più teso, con il direttore Augusto Minzolini abbandonato anche da Mauro Mazza, direttore di RaiUno.
A pesare sugli ascolti del telegiornale, oltre alla programmazione della rete che non aiuta il Tg1, anche la scelta di trasformare lo spazio istituzionale in prodotto quasi cabarettistico.
MARINA BERLUSCONI SCARICA MINZOLINI. E mentre Marina Berlusconi non ha fatto mistero di non voler accogliere Minzolini, il direttore del Tg1 attende la decisione del tribunale di Roma sulla possibilità di dare il via al processo.
Sullo sfondo, infine, c'è Comitato di redazione del telegiornale che ha lanciato un ultimatum a Lorenza Lei, perché il direttore generale della Rai possa adottare provvedimenti per rilanciare «quello che vogliamo continui a essere il primo telegiornale italiano».
Lunedì, 28 Novembre 2011
Per chiudere la trattativa, la Fiat ha stanziato circa 21,5 milioni di euro, come costo complessivo diretto a
incentivi, premio di fedeltà, mancato preavviso e tombale. Secondo l'accordo ogni dipendente riceverà un incentivo medio di 460 euro per 48 mensilità.
Con la rimozione del presidio, le bisarche con le ultime vetture prodotte potranno uscire e consegnarle alla rete di vendita. Gli operai avevano effettuato i blocchi come strumento di pressione 1 per arrivare a un'intesa sugli incentivi per l'accompagnamento alla pensione dei lavoratori della Fiat con i requisiti. Al presidio, i lavoratori hanno trascorso due notti. E il sindaco di Termini Imerese, dopo l'accordo, chiede "pari garanzie per l'indotto".
I termini dell'accordo. La cifra prevista di 460 euro si spalmerà quindi su 48 mensilità, oltre a quanto previsto per norma. Questa la sequenza dei pagamenti, in fascia unica operi e impiegati: 4.445 euro nel primo anno, 10.366 nel secondo, 16.287 nel terzo, 22.208 nel quarto. Il tutto senza contare il costo del mancato preavviso, il premio fedeltà e le imposte. La mobilità partirà il primo gennaio 2012 e resterà aperta per due anni.
Reazioni sindacali. "Abbiamo preso atto della proposta del governo, ma resta il fatto che la Fiat si è approfittata della situazione, proponendo un importo per l'incentivo alla mobilità più basso rispetto alle tabelle usualmente applicate", dice il responsabile auto della Fiom, Enzo Masini. "C'è amarezza per il dispetto che Fiat ha voluto fare ad i lavoratori siciliani", conclude.
Il segretario confederale della Cgil Vincenzo Scudiere parla di "intesa apprezzabile e positiva" perché, spiega, "risolve il problema degli incentivi accompagnando alla pensione oltre 600 persone". E aggiunge: "E' stato positivo il lavoro svolto dal ministro Passera e dallo stesso ministero per costruire una soluzione basata sul rispetto degli interessi in campo". C'è ora in programma un incontro con l'imprenditore Di Risio, di Dr Motor: "In previsione del prossimo incontro con Di Risio - dice Scudiere - C'è bisogno che l'acquirente confermi tutte le disponibilità annunciate per avviare la produzione e rilanciare lo stabilimento di Termini Imerese".
Esprime soddisfazione anche il segretario nazionale della Fim Bruno Vitali: "Finalmente abbiamo raggiunto un importante punto di intesa sulla mobilità, che sarà pari al 70% di quanto era stato richiesto, ovvero di quello che tradizionalmente Fiat ha dato ai lavoratori".
Per il segretario nazionale della Uilm Eros Panicali, l'accordo è frutto "di una mediazione positiva". "E' stato finalmente risolto il nodo degli incentivi" ed è stato fissato un importo "decoroso", afferma sottolineando che "con quest'ultimo tassello possiamo realisticamente contare sulla possibilità di raggiungere l'intesa generale e definitiva al prossimo incontro".
Con l'intesa "sono stati salvaguardati tutti i lavoratori" vicini alla pensione, rimarca il segretario nazionale dell'Ugl metalmeccanici Antonio D'Anolfo, che si dice "soddisfatto" della "somma messa a disposizione da Fiat per gli incentivi".
CON LA DISDETTA degli accordi sindacali ufficializzata questa settimana, la «Fiat dice apertamente che l'intesa di Pomigliano è un contratto di primo livello a tutti gli effetti - sottolinea Gianni Rinaldini -: sostituisce quello nazionale e punta a estenderlo in tutte le fabbriche del gruppo. Questo è un fatto clamoroso, assolutamente da non sottovalutare: apre una strada che potrebbe essere imboccata anche da altre realtà. Per quanto ci riguarda - aggiunge - faremo di tutto per evitare che questo possa succedere». Rinaldini boccia apertamente la strategia di Sergio Marchionne, «che sta trasferendo in Italia il modello sociale americano, un Paese che ha funzionato da detonatore nell'esplosione di una crisi senza precedenti con la quale ora tutti devono fare i conti». Sottolinea la scelta «assolutamente fuori luogo» dell'azienda «che punta a escludere un sindacato, come la Fiom, da realtà importanti come l'Iveco di Brescia». E sottolinea l'importanza, «considerato quanto sta succedendo, assolutamente clamoroso e senza precedenti, che tutte le forze politiche prendano posizione in modo chiaro e netto
sabato 26 novembre 2011
venerdì 25 novembre 2011
Dopo le innumerevoli denunce sui costi supereconomici dei ristoranti della Camera, del ristorante del circolo ricreativo Montecitorio riservato ai deputati, qualcosa finalmente si muove.
Dal 1 gennaio 2012 il ristorante si trasforma in self-service, come una normale mensa aziendale, con l'obiettivo di pareggiare i conti tra incassi e spese, in modo da non dover pagare noi cittadini anche una parte del conto del pranzo e delle cene dei deputati.
Probabilmente i questori vogliono evitare la sovrapposizione che invece si è creata al Senato dove è ormai particolarmente diffuso l' imboscamento dei senatori nella mensa aziendale dei dipendenti, per aggirare gli aumenti fissati da quest'anno.
Succederà davvero? Non ci resta che aspettare il 1 gennaio per scoprirlo.
giovedì 24 novembre 2011
lunedì 21 novembre 2011
Berlusconi si è dimesso, il governo Monti ha preso il suo posto, ma il dopo-Berlusconi non è ancora cominciato. E non sembra neppure vicino. Infatti, lo strapotere di cui ha goduto Berlusconi, incompatibile con i principi elementari di ogni democrazia liberale, e ovviamente in conflitto con la Costituzione italiana nata dalla Resistenza antifascista, consisteva solo in parte nel suo controllo del governo. Il suo “nocciolo duro” risiedeva (e risiede) nel dominio monopolistico (e sempre più orwelliano) del sistema televisivo, nella rete di leggi “ad personam” che gli hanno garantito l’impunità giudiziaria (malgrado in tribunale sia stato riconosciuto colpevole dei fatti addebitati almeno una decina di volte), nell’intreccio di poteri eversivi, criminali, deviati (pezzi di servizi segreti, magistrati corrotti, manager di grandi gruppi parastatali con giganteschi interessi nel petrolio e negli armamenti, ambienti mafiosi, despoti di paesi stranieri...) con cui ha sempre più impastato il proprio potere patrimoniale e politico, realizzando un vero e proprio Stato parallelo privato.
Solo quando questa piovra di illegalità (di cui le decine di leggi “ad personam” costituiscono lo scudo “legale”) sarà stata radicalmente smantellata, potremo dire che il dopo-Berlusconi è cominciato davvero, cioè irreversibilmente. Fino ad allora Berlusconi resterà nella vita politica italiana molto più che come “convitato di pietra”: stagnerà come cancro di poteri antidemocratici, capace in qualsiasi momento di metastatizzare, piombando di nuovo l’Italia nel baratro.
Non è certo un caso se l’unico ministero su cui Berlusconi è riuscito a imporsi a Monti e Napolitano è quello della Giustizia: circolava con insistenza il nome di un magistrato, la dottoressa Livia Pomodoro, presidente del tribunale di Milano e docente presso l’Università cattolica (non certo una bolscevica, dunque). Avrebbe riportato quel ministero alla decenza, avrebbe forse convinto i cittadini che la scritta che campeggia in ogni aula giudiziaria, “la legge è eguale per tutti”, non è una beffa. Proprio per questo Berlusconi ha posto il veto. Il nuovo ministro (per la prima volta una donna), Paola Severino, è l’avvocato che ha difeso il gotha della finanza e imprenditoria (e fin qui nulla di male, si dirà), ma anche Giovanni Acampora, una delle protesi berlusconiane nella corruzione di magistrati con cui Berlusconi riuscì a scippare a De Benedetti la proprietà della maggiore azienda editoriale italiana, la Mondadori. Il regista di quello scippo fu l’avvocato Previti, braccio destro di Berlusconi (che lo nominò ministro della Difesa), e il quotidiano iper-berlusconiano “Il Foglio” scrive in prima pagina che proprio a casa Previti Berlusconi ha fatto la conoscenza di Paola Severino. Frequentazioni inquietanti, a dir poco.
La prova che il potere di Berlusconi va molto al di là del suo controllo di governo l’ha fornita una “gaffe” ripetuta praticamente da tutti nei giorni scorsi. Perfino il capo dell’opposizione Bersani, ha parlato dei “diciassette anni di berlusconismo”, eppure in questo lungo periodo il Partito democratico è stato al governo, con Prodi e con D’Alema, per ben sette anni! Ma il potere reale, il potere anomalo e anticostituzionale, in effetti, è sempre rimasto a Berlusconi, in forme crescenti, fino a trasformarsi in vero e proprio regime. Perciò si dovrà vedere se il governo Monti avrà il coraggio di smantellarlo davvero, questo potere, restituendo alle parole legalità e informazione il loro significato. Monti non potrà invocare alibi: Berlusconi infatti è oggi in parlamento nel suo momento di massima debolezza. Se impedisce a Monti di governare si va a nuove elezioni, con uno “spread” tra titoli di Stato italiani e tedeschi che sarebbe da vigilia di “default”, e con la certezza che gli elettori infliggerebbero all’amico di Putin (il nuovo zar di Russia è l’unico governante al mondo che ancora difende Berlusconi) una sconfitta devastante.
Il governo Monti andrà perciò valutato su tre fattori: l’equità (o il classismo) con cui affronterà la crisi economico-finanziaria, il ripristino della legalità e la de-totalitarizzazione del sistema televisivo.
La questione della legalità è del resto decisiva anche per l’emergenza finanziaria del debito pubblico. Poche settimane fa i governi (di destra!) tedesco ed inglese hanno realizzato con la Svizzera un accordo sui capitali fuggiti dai rispettivi paesi verso le banche dei quattro cantoni. Il meccanismo è congegnato in modo da impedire a questi ricchi “occulti” di nascondersi in nuovi e più inaccessibili paradisi (grosso modo: se lo fanno, le banche riveleranno i loro nomi, e la magistratura tedesca e inglese li perseguiranno penalmente). Le banche faranno pagare a questi clienti una tassa che si aggira sul 30% e che verrà girata ai governi di Merkel e Cameron. Che intascheranno rispettivamente 35 e 10 miliardi di euro. Gli stessi banchieri svizzeri hanno calcolato che con identico accordo l’Italia ricaverebbe 30 miliardi. Ma Monti non ha fatto cenno a questa ovvia misura di equità, e neppure ad analoga tassa da pretendere dai capitali ritornati in Italia grazie allo “scudo fiscale” che li tassò solo al 5%. Eppure si tratta di privilegi “di classe” particolarmente odiosi, indifendibili, oltre che di indecenti violazioni della legalità fiscale. Coinvolgono al massimo duecentomila persone, una esigua minoranza: se non vengono colpiti, le parole “legalità” ed “equità”, pronunciate da Monti, resteranno mera retorica.
Un aspetto nel quale la continuità tra Monti e Berlusconi è praticamente certa è purtroppo quello della laicità. Cioè del disprezzo per la laicità dello Stato, che si manifesta nel peso del Vaticano nella vita pubblica. I ministri nelle grazie della Conferenza episcopale sono moltissimi, a cominciare dal superministro per tutte le attività produttive (telecomunicazioni comprese) Corrado Passera, che il cardinal Bagnasco ha voluto poche settimane fa relatore ad un importantissimo convegno di tutte le associazioni cattoliche. Del resto, il rettore dell’università cattolica, controllata dal Vaticano, professor Ornaghi, doveva addirittura diventare ministro dell’istruzione (un tempo si chiamava “ministero dell’istruzione PUBBLICA”!). E’ stato dirottato al ministero dei beni culturali, perché almeno su questo il Pd ha saputo tener duro. Ma il peso clericale nel governo resta comunque fortissimo (un grande oncologo famoso in tutto il mondo, il prof. Veronesi, era il candidato più accreditato per la sanità, ma è ateo e favorevole all’eutanasia: il veto vaticano è stato immediatamente ascoltato).
Perciò, se Monti si occuperà esclusivamente del debito pubblico, e non anche della moltitudine di cortigiani con cui Berlusconi ha occupato (spesso con veri e propri criminali) tutti i gangli vitali del paese, liberando per prima cosa la tv (e facendo pagare a Mediaset le nuove frequenze che Berlusconi premier stava regalando a Berlusconi imprenditore), non solo il dopo-Berlusconi non comincerà ma verrà preparato il terreno per un “ritorno del caimano” tragico per il Paese. Sembra difficile, tuttavia, che Monti, Passera (e Napolitano, cui si deve questo governo) rinunceranno a fare un po’ di pulizia: ne andrebbe del loro credito internazionale, oltretutto.
Maurizio Landini, segretario della Fiom annuncia "azioni legali e denunce". "Andremo avanti comunque per difendere gli interessi dei lavoratori", ha aggiunto il responsabile del sindacato metalmeccanici della Cgil.
''La decisione della Fiat evidenzia la necessità di rompere i residui indugi e realizzare al più presto e comunque prima del 31 dicembre il contratto nazionale per i lavoratori dell'auto''. Così il segretario generale della Fismic, Roberto Di Maulo ha commentato la disdetta degli accordi sindacali. ''Il rischio - aggiunge - è che in assenza di questo, la più grande azienda italiana proceda ad un regolamento unilaterale che sarebbe la vera fine delle relazioni sindacali nel Paese'', conclude.
La data del primo gennaio 2012 corrisponde anche a quella dell'uscita ufficiale del gruppo Fiat dalla Confindustria. (21 novembre 2011)
“Ma così si aggrava il massacro sociale”
Il nodo di tutto sta nella cosiddetta "contrattazione di prossimità". Tradotto: spostare la contrattazione dal contratto nazionale ai luoghi di lavoro. In sostanza l'articolo 8 voluto dall'ex governo Berlusconi. La Fiom già sul piede di guerra
Il segretario generale della Fiom, Maurizio Landini parla di “forte preoccupazione”, il presidente del Comitato centrale Giorgio Cremaschi sceglie al tempo stesso parole ancor più pesanti definendo le misure “pessime e inique”. Bastano poche note ufficiali giunte nel tardo pomeriggio di ieri per capire fin da subito il tenore del livello di scontro. Mario Monti ha da poco concluso il suo primo discorso in Senato e la sua premessa sull’assenso delle parti, più volte sostenuta anche nei giorni scorsi, sembra già vacillare. “Il massacro sociale è già in atto e così lo si aggrava e basta – afferma Cremaschi – . Bisogna mobilitarsi contro questo programma, altro che patto sociale”. Il senso delle parole è più chiaro che mai: i sindacati sono già su piede di guerra. E non è difficile comprendere il perché.
Il nodo centrale è contenuto in quell’espressione pronunciata dal neo premier nel corso del suo primo intervento: spostamento del baricentro della contrattazione collettiva verso i luoghi di lavoro. Tradotto, la famosa, o famigerata a seconda dei punti di vista, contrattazione di prossimità. Quel principio messo nero su bianco dal celebre articolo 8 testo di legge dell’ultima manovra governativa. “Ci viene chiesto dalle autorità europee”, sottolinea Monti, e il suo riferimento è più che evidente. Già in estate , l’ormai leggendaria missiva inviata dall’ora numero uno della Bce Jean-Claude Trichet e dal suo successore Mario Draghi al governo italiano conteneva un chiaro invito alla riforma del mercato del lavoro. Un mercato, quest’ultimo giudicato eccessivamente rigido tanto dalla presenza forti tutele occupazionali (l’articolo 18) quanto dai sistemi di contrattazione collettiva. Esattamente i due aspetti sui quali la Fiom non ha, più che comprensibilmente, intenzione di cedere.
Il casus belli, ovviamente, ha da tempo un nome e cognome: Sergio Marchionne. Maurizio Landini non lo cita direttamente, ma è solo un dettaglio. Perché “l’intenzione della Fiat di estendere a tutto il gruppo il modello Pomigliano”, che Landini definisce “inaccettabile” e di fatto illegale (“in violazione allo Statuto dei lavoratori”) è da sempre il tasto preferito dell’amministratore delegato. All’inizio di ottobre, come noto, la Fiat ha annunciato l’intenzione di abbandonare Confindustria a partire dal 2012. Una scelta, quest’ultima, motivata presumibilmente più dalla perdita di centralità della sede italiana (rispetto agli investimenti programmati in direzione Detroit) che da altro. Ma che, al tempo stesso, ha costituito l’occasione perfetta per un chiaro rilancio sul tema caldo delle relazioni sindacali. In una missiva aperta, nell’occasione, Marchionne parlò più o meno implicitamente di “incertezza delle riforme” lasciando intendere un certo disappunto per il tentennamento di alcuni settori produttivi troppo inclini alla ricerca di un compromesso con le parti sociali.
A preoccupare il sindacato, però, non c’è solo il tema dei contratti nazionali. “È necessario colmare il fossato che si è creato tra le garanzie e i vantaggi offerti dal ricorso ai contratti a termine e ai contratti a tempo indeterminato – ha dichiarato Monti – , superando i rischi e le incertezze che scoraggiano le imprese a ricorrere a questi ultimi”. La traduzione è evidente: libertà di licenziamento per ragioni economiche e conseguente ridimensionamento dell’articolo 18.
Certo sul tavolo resta sempre la questione ammortizzatori sociali, sistemi di welfare che, secondo Monti, dovrebbero andare incontro a “una riforma sistematica”. L’obiettivo, ha chiarito, è “garantire a ogni lavoratore che non sarà privo di copertura rispetto ai rischi di perdita temporanea del posto di lavoro”. In sostanza si parla di sussidi di disoccupazioni, una risorsa che oggi manca ai più e che, in teoria, dovrebbe compensare almeno in parte una rinnovata flessibilità contrattuale. Il tutto, ovviamente, a patto che nelle casse dello Stato ci siano i soldi per finanziare i nuovi ammortizzatori. Ma questo, si sa, è un altro problema. Il più importante di tutti, ovviamente.
domenica 20 novembre 2011
giovedì 17 novembre 2011
lunedì 14 novembre 2011
2050
Berlusconi dopo una lunga agonia, è stato costretto dall’impietosa legge dei numeri a rassegnare le proprie dimissioni. L’epopea politica del cavaliere, durata tra alti e bassi più di 17 anni, è finalmente giunta al termine. Il paese necessita ora di risollevarsi innanzitutto sul piano economico e Mario Monti è stato scelto dal Presidente Napolitano proprio per questa ragione: formare un governo tecnico in grado di trascinare l’Italia fuori dalla crisi e traghettarla alle prossime elezioni. Questo l’incarico affidato agli esperti, personalità competenti che ci auguriamo possano portarlo a termine nel più breve tempo possibile. Guardando oltre però, l’incarico più delicato è stato assegnato a noi. Non dal Presidente della Repubblica, non dall’Unione Europea né da qualsiasi altra forma di istituzione politica. Ci è stato assegnato dalla storia, e più precisamente da una necessità storica di cambiamento che riguardi il piano sociale e culturale di un paese martoriato.
Ora non abbiamo più scuse. Tutti noi abbiamo il compito di metterci alle spalle il periodo delle veline, delle escort e degli scandali sessuali. Delle barzellette, delle corna e delle figuracce a livello internazionale. Del populismo e del culto della personalità del capo. Dei condoni, del conflitto di interessi, delle leggi bavaglio e di quelle ad personam. Delle collusioni con la mafia, dei processi sommari e delle prescrizioni. Questo non può che arrivare dal basso, da un popolo italiano stanco di tutto ciò e desideroso di ripartire verso un futuro migliore. Non possiamo infatti pretendere dalla nostra classe dirigente una svolta post-berlusconismo se non siamo noi i primi a volerla e a impegnarci nel quotidiano per ottenerla. Forse questo è un ideale irrealizzabile, forse richiederà solamente tempo e sforzi considerevoli. Solo così però potremo consegnarci alla storia con la consapevolezza di aver fatto la nostra parte.
Non festeggio, soprattutto perché è caduto sulla spinta dei mercati e non grazie al movimento popolare che l’ha duramente combattuto in questi mesi, anni. E ora, sentire Bersani dire “è caduto grazie al Pd” è deprimente.
Vedere la gente in strada a festeggiare è stato liberatorio, ma non considero l’11 novembre la nuova Liberazione, perché non sono certo che di fine si tratti e che quel “c’era una volta Berluscopoli” si sia avverato. (Certo, poi ascolti Cazzullo parlare di “gazzarra” riferendosi alla manifestazione di sabato di fronte al Quirinale e allora capisci che quella presenza in piazza aveva un senso!)
Ma per cosa festeggiamo? Per avere Monti al governo? Probabilmente è vero, Monti oggi è l’unica soluzione possibile. Ma come ci siamo arrivati? Perché non siamo riusciti, noi tutti, nelle piazze, nei luoghi di lavoro, in parlamento, a creare le condizioni per farlo cadere politicamente?
Se vogliamo essere onesti con noi stessi, dobbiamo chiederci: perché non è successo? Perché in qualunque altro paese europeo sarebbe caduto molto prima? Non dobbiamo fare l’errore di dirci “è caduto grazie a noi!” . Mi piacerebbe tanto dirlo ma non è così.
Siamo davvero convinti che Berlusconi e Berluscopoli siano finiti e che il videomessaggio di ieri rappresenti solo i titoli di coda di un film durato 18 anni? O piuttosto è semplicemente un intervallo? Bisogna stare attenti perché la prossima puntata potrebbe chiamarsi “Presidenza della Repubblica”.
Io non festeggio, non riesco a farlo, perché ora è tempo di vigilare con ancora più attenzione sulle scelte del prossimo governo. Non festeggio perché non mi piace che l’Italia sia commissariata. Non festeggio perché nessuno sa davvero cosa c’è scritto nell’ultima norma approvata dalla Camera venerdì 11 novembre. Non festeggio perché saranno sempre i soliti a pagare lacrime e sangue dei prossimi provvedimenti.
E non festeggio perché so che la prossima legislatura sarà comunque composta dai soliti parlamentari, responsabili dell’attuale situazione. Perché le liste elettorali sono praticamente fatte e non c’è alcuna possibilità di un ricambio generazionale, se non qualche nome di facciata.
Sì, sono felice che Berlusconi non sia più il mio presidente e sono felice di essere parte di un grande movimento di persone che ha contestato il premier in questi anni, ma non trovo una ragione per festeggiare. Ora inizia il bello, magari iniziando col chiedere a Pd, Sel e Idv di fare le primarie di tutti i candidati, non solo del premier, di imporre loro di ragionare su idee nuove, su una lettura aggiornata delle società, con nomi che siano coerenti con le scelte fatte.
domenica 13 novembre 2011
sabato 12 novembre 2011
venerdì 11 novembre 2011
mercoledì 9 novembre 2011
martedì 8 novembre 2011
domenica 6 novembre 2011
sabato 5 novembre 2011
venerdì 4 novembre 2011
martedì 1 novembre 2011
É GIÀ IN ATTO una tragica devastazione della dignità. Dimenticate lo scontro iniziato nell’estate 2010 proprio qui a Pomigliano, la Fiom-Cgil contro la Fiat e contro gli altri sindacati, l’accordo contestato e approvato dal referendum, e tutto quello che è seguito. Guardiamo i fatti di questi giorni. Ci sono 4.700 persone in attesa di passare dalla vecchia Fiat alla nuova Fabbrica Italiana Pomigliano. Finora (comunica la Fiat) ne hanno presi 200. Altri 150 saranno assunti entro novembre. Si arriverà a mille “nei primi mesi del 2012”. E gli altri? “Dipenderà da quante Panda venderemo”, dicono alla Fiat. Ai lavoratori di Pomigliano prima è stata chiesta efficienza, con nuove regole in grado di far sfornare fino a 280 mila Panda ogni anno, e occupare così 5 mila dipendenti. Ma Sergio Marchionne non aveva spiegato che a loro carico c’era anche il rischio di impresa: se la Panda non vende, parte degli operai restano senza lavoro.
Le previsioni sono fosche. Quest’anno la Fiat conta di produrre poco più di 200 mila Panda. Al 30 settembre scorso però non aveva ancora raggiunto quota 160 mila. Nel 2012 la domanda di Panda dovrebbe avere un’impennata del 40 per cento per arrivare a quota 280 mila, con due difficoltà inedite: lo stabilimento polacco di Tichy continuerà a produrre e vendere la vecchia Panda, che costerà meno della nuova e le mangerà un pezzo del mercato; inoltre la nuova Panda dovrà vedersela con un’inedita concorrente, la Volkswagen Up, creata da due transfughi Fiat come lo stilista Walter De Silva e il mago del marketing Luca de Meo, padre della Fiat 500. I più pessimisti dicono che a fine 2012 sarà tanto se la Fip avrà assunto 2.000-2.500 persone, lasciandone in cassa integrazione almeno altrettante. La fitta nebbia che circonda il piano Fabbrica Italia è la ragione principale dello sciopero di tutto il gruppo Fiat proclamato per oggi dalla Fiom, che questa mattina manifesterà a Roma, in piazza del Popolo, con comizio conclusivo del leader Maurizio Landini. Il quale avrà un nuovo tema bollente da spiegare ai suoi sostenitori, riguardante proprio Pomigliano: la scelta delle persone da inserire gradualmente nella nuova azienda è a totale discrezione dell’azienda. Tu dentro, tu fuori, nome per nome.
QUI L’UMILIAZIONE diventa dramma, o peggio. Denuncia Giorgio Airaudo, responsabile auto della Fiom: “Ci raccontano che la Fiat esercita forti pressioni sui lavoratori, lasciando intendere che difficilmente verranno chiamati gli iscritti ai sindacati dissidenti”, cioè la Fiom e i Cobas. Andrea Amendola, capo della Fiom di Napoli, stima che dei 6-700 iscritti della Fiat di Pomigliano almeno un centinaio hanno già mollato. Nessuno parla, perché il clima è di paura. Ma tutti sanno che cosa è capitato al collega. C’è quello che alla fine della visita alle nuove linee ha sentito l’alto dirigente alludere al nesso assunzione-sindacato guardando negli occhi le mogli. C’è quello che il capetto gli ha detto: “Sei bravo, sei stimato, ma lo dico per te: se non molli la Fiom non ti prendono”. Dice Airaudo: “A me un paio di compagni ne hanno parlato, se ci trovassimo di fronte alle prove di tutto questo faremmo partire una denuncia”. Per ora, va detto con chiarezza, non c’è alcun elemento per accusare la Fiat di niente. C’è solo un fatto: di questo si parla, e gli iscritti alla Fiom calano di giorno in giorno. Del resto, sapete come si fa? Si va all’ufficio del personale e si comunica: “Dal prossimo mese non fatemi più la trattenuta per la Fiom”. Così l’azienda lo sa subito, mentre il sindacato avrà l’aggiornamento dei suoi iscritti solo nel prossimo mese di febbraio. Per ora si va a sensazioni. I delegati della Fim-Cisl sono certi che la Fiom stia perdendo iscritti, ma attribuiscono l’emorragia alla bocciatura della “linea dura”. E rivendicano uno speculare boom di iscritti alla Cisl che premierebbe la concreta tutela degli interessi. Qualcuno potrebbe sospettare che la voglia di Cisl nasca dalla ricerca di protezione nella corsa al posto. “Noi rifuggiamo dalle pratiche clientelari”, taglia corto Antonio Borrelli, delegato Fim-Cisl da 19 anni. E quelli della Fiom invece ti spiegano che, se c’è una sigla in grado di tutelare la posizione personale dei suoi iscritti, è quella del Fismic, autentico sindacato aziendalista, da sempre quello con più adesioni a Pomigliano. E che, se qualcuno si è iscritto alla Cisl per salvare il posto, potrebbe rimanere deluso. Anche perché, si scopre a forza di chiacchierare ai cancelli, per la Fiat gli operai non sono tutti uguali, e vorrebbe prendere prima quelli bravi, possibilmente senza tessere. Dice uno di loro, che non vuol dire come si chiama: “Siamo i pionieri di Fabbrica Italia, vero? Dammi retta, entro sei mesi ci scanneremo. Tra noi”.