Tutti contenti. Marcello Dell'Utri è stato condannato a 7 anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa. Giustizia è fatta. Ma neanche per idea.
Il verdetto della corte d'appello del Tribunale di Palermo, infatti, assolve il senatore siciliano dall'accusa di aver trattato con Cosa Nostra durante la stagione stragista che la stessa organizzazione criminale aveva intrapreso seminando il terrore nella penisola italiana. “Per le vicende successive al 1992 il fatto non sussiste” recita la sentenza arrivata dopo cinque giorni di camera di consiglio, cancellando così, per il momento, le teorie che vedrebbero Dell'Utri e, di rimando, Berlusconi, come i nuovi referenti della mafia da Tangentopoli in poi.
Le vicende ritenute provate risultano essere quelle relative alla nascita dell'impero berlusconiano, come l'assunzione del boss palermitano Vittorio Mangano a stalliere nella villa di Arcore o l'incontro tra Stefano Bontade, Mimmo Teresi e Silvio Berlusconi avvenuto presso la sede della Edilnord nel lontano 1974.
La corte d'appello ha quindi stabilito che Marcello Dell'Utri intrattenne stretti rapporti con la mafia di Bontade fino al 1980, mantenendoli con quella di Totò Riina e Bernardo Provenzano, fino alla stagione delle stragi di Falcone e Borsellino del 1992, per poi fermarsi lì. Ma è proprio su questo punto, che la sentenza diventa illogica.
Perchè Dell'Utri, avendo alle spalle vent'anni di collaborazione con gli ambienti mafiosi di Cosa Nostra, si sarebbe redento proprio alla vigilia della stagione stragista? Perchè Cosa Nostra non replicò l'attentato dell'Olimpico del '93, per poi votare Forza Italia nelle elezioni successive? Decine di pentiti, tra cui Gaspare Spatuzza e Nino Giuffrè, mentono quando dicono che Cosa Nostra rientrò nei ranghi solo dopo aver raggiunto un accordo con dei nuovi referenti politici, giudicati affidabili, quali erano Berlusconi e Dell'Utri?
Secondo l'accusa, d'altronde, l'impianto accusatorio relativo alla trattativa fra Stato e mafia era più granitico rispetto a quello riguardante i fatti precedenti al '92, ma la corte d'appello di Palermo ha probabilmente ritenuto che trarre la conclusione ovvia in merito fosse troppo pericoloso, e che le conseguenze successive ad una sentenza di condanna anche per le vicende legate alla stagione delle stragi, sarebbero state devastanti.
Questa sentenza, infatti, salva in zona Cesarini sia Berlusconi che tutto il movimento politico a lui legato, definendolo non come un avamposto mafioso nato dalla ceneri della Prima Repubblica, ma ritraendolo semplicemente alla stregua di un partito non diverso da tutti gli altri. Il presupposto, infatti, per distruggere le fondamenta della carriera politica di Silvio Berlusconi, non può non essere quello che vede la “trattativa” come il prologo di quella stessa carriera, iniziata in concomitanza con la conclusione delle stragi mafiose. Decretare l'inesistenza dei fatti collegati a quella stagione di accordi non rende giustizia a tutte quelle vittime che aspettano ancora di conoscere la piena verità su quegli anni.
A Roma, in ogni caso, può succedere di tutto. Marcello Dell'Utri è pur sempre il fondatore di Forza Italia, e anche se non viene ritenuto parte integrante della trattativa fra Stato e Cosa Nostra, porta comunque con sè una sentenza di condanna a sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa che lo ritrae come protagonista di una molteplicità di rapporti con le cosche criminali andati avanti per qualche decennio.
Può Silvio Berlusconi continuare a governare una nazione da sempre in lotta con la mafia, pur avendo come braccio destro un condannato in primo grado e in appello per concorso esterno in associazione mafiosa, la stessa nazione nel quale Paolo Borsellino e Giovanni Falcone saltarono in aria ad opera delle stesse organizzazioni criminali che combattevano?
In un paese normale, il Cavaliere non potrebbe rimanere un secondo di più al governo, ma visto che un paese normale non lo siamo e forse mai lo saremo, assisteremo al solito sproloquio con il quale Berlusconi si difenderà accusando la magistratura di essere politicizzata e in mala fede. Ci si appellerà al fatto che la sentenza della corte d'appello di Palermo sconfessa in qualche modo le “dichiarazioni bomba” di Gaspare Spatuzza e di Massimo Ciancimino, con conseguente attacco agli organi di stampa che a quelle parole, invece, avevano dato notevole risalto.
E' una sentenza che non scontenta nessuno. L'opinione pubblica sarà in parte appagata da una condanna a sette anni di reclusione, mentre Berlusconi continuerà probabilmente a governare il Paese nonostante il suo background mafioso.
Non siamo né sadici né forcaioli, vogliamo solamente che si faccia luce su una stagione che pesa enormemente sul presente e sul futuro della nostra democrazia. Abbiamo bisogno di una verità che, oggi più che mai, è sempre più lontana dall'essere rivelata.
martedì 29 giugno 2010
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