Il pregiudicato innocente (Marco Travaglio).
Da Il Fatto Quotidiano del 08/08/2013.
Poniamo che in un qualunque processo, uno degli 80mila che celebra ogni anno
la Cassazione, un giornalista chiedesse a un giudice perché ha
confermato la condanna di Tizio e il giudice rispondesse: “Perché era
colpevole”. Che farebbero i giornali? Non riprenderebbero nemmeno la
notizia, essendo assolutamente ovvio che un giudice condanni un imputato
che ritiene colpevole. Sarebbe strano il contrario, e lì sì che si
scatenerebbe il putiferio, se cioè un giudice che ha appena condannato
Tizio dichiarasse: “Secondo me era innocente, ma l’ho condannato lo
stesso”. Il guaio del presidente Esposito è che il suo non è un processo
normale, perché l’imputato si chiama B., che ha nelle sue mani, o ai
suoi piedi, il 90% dei giornali e delle tv. Dunque diventa tutto uno
scandalo anche la normalità: un giudice che conferma la sentenza
d’appello che condanna B. perché non solo sapeva, ma era il “regista” e
il “beneficiario” di un gigantesco sistema di frode fiscale durato anni
messo in piedi da lui; e poi spiega off record a un giornale scorretto
(che concorda con lui un testo e poi ne pubblica un altro e continua a
non divulgare l’audio integrale da cui risulta che il giudice non
rispondeva a una domanda su B.) che la conferma non si basa sulla
sciocchezza del “non poteva non sapere”, ma sulla prova provata che B.
sapeva (anzi, ordinava). Non solo, ma il fatto di ribadire che B. era
colpevole perché sapeva, anzi ordinava, diventa la prova che B. era
innocente perché non sapeva e non ordinava. Se non ci fosse da piangere,
verrebbe da sbudellarsi dal ridere. I giuristi di corte, quelli che non
distinguono un codice da un paracarro, sono scatenati. Per Sallusti, un
giudice che dà del colpevole a un pregiudicato è, nell’ordine:
“scorretto, illegale, vile, inadatto, pericoloso, imbroglione, indegno,
scellerato, bugiardo”, da “radiare dalla magistratura”, mentre la
sentenza decisa da lui e da altri 4 giudici (da lui contagiati per
infezione) “non dovrebbe avere nessun valore” e va “annullata” come
sostengono “alcuni giuristi” di sua conoscenza (Gambadilegno,
Macchianera e la Banda Bassotti al completo). Belpietro, altro
giureconsulto di scuola arcoriana e libero docente di diritto comparato,
ha saputo che “in altri Paesi ciò costituisce immediata causa di
ricusazione del magistrato o di revisione della sentenza”: poi però non
precisa quali siano, questi “altri paesi” della cuccagna dove un giudice
che parla dopo invalida la sentenza emessa prima.
Intanto B.,
sempre in guerra contro la legge ma soprattutto contro logica, sostiene
che questa è la prova che “la sentenza era già scritta”: ma se fosse già
scritta, perché accusa Esposito di aver parlato prima di scriverla?
Strepitoso il duo Brunetta & Schifani: invocano punizioni esemplari
contro Esposito perché ha parlato e contemporaneamente una fantomatica
“riforma della giustizia” per proibirgli di parlare: e così ammettono
che nessuna norma gli vietava di parlare. Secondo Franco Coppi, il fatto
è “inaudito” perché “non s’è mai visto un presidente di collegio che
anticipa la motivazione della sentenza”: invece s’è visto un sacco di
volte. L’ultima, quando il presidente della Corte d’appello di Perugia,
Claudio Pratillo Hellmann, all’indomani della lettura del dispositivo
della sentenza che assolveva Amanda Knox e Raffaele Sollecito per il
delitto di Meredith Kercher, incontrò pubblicamente i giornalisti per
spiegare perché i due erano innocenti e i giudici di primo grado avevano
preso una cantonata. Nessuno disse nulla, nessuno aprì procedimenti
disciplinari, tutti fermi e zitti. Poteva mancare sul Corriere
l’illuminato parere di Antonio Polito? No che non poteva. Eccolo infatti
avventurarsi pericolosamente su un terreno a lui ignoto – il diritto –
con corbellerie sesquipedali. Invoca le solite “riforme della
giustizia”, ignorando che se ne son fatte 110 in 20 anni.
Blatera di “sanzione disciplinare”, ignorando che questi illeciti sono
tipizzati con precisione dal nuovo ordinamento giudiziario n. 269 del
2006 (a proposito di riforme della giustizia), che punisce “le pubbliche
dichiarazioni o interviste che riguardino soggetti coinvolti negli
affari in corso di trattazione”, non in quelli già chiusi con sentenza
definitiva. Del resto se Polito, per punire Esposito, invoca una nuova
legge, vuol dire che lo sa anche lui che con quella attuale non lo si
può punire, visto che l’ha rispettata. Alla fine El Drito si supera:
Esposito non doveva parlare perché, essendo “un giudice e non un
accusatore”, è “obbligato alla terzietà”: sì, ma prima del processo, non
dopo. Un giudice che condanna, o assolve, non è più terzo: avete mai
visto accusare l’arbitro di non essere più terzo rispetto a un fallo da
rigore per aver fischiato un rigore e aver detto che era rigore?
Ma la farsa non finisce qui, perché la premiata ditta
B&Coppi&Ghedini vuole ricorrere alla Corte europea dei Diritti
del-l’Uomo. Grande idea. Oltre ad aver respinto tre ricorsi di Previti
contro le sue condanne per Imi-Sir e Mondadori, la Corte di Strasburgo
il 29 maggio 2012 ha dato ragione a un pm del-l’Estonia accusato di aver
rilasciato interviste e dichiarazioni alla stampa e alla tv su una sua
indagine contro un giudice corrotto, condizionando i giudici e violando
la presunzione di innocenza. E, secondo la Corte, fece benissimo perché
l’opinione pubblica “dev’essere informata su questioni di interesse
collettivo”, come le inchieste su personaggi pubblici; e, se il
magistrato indica “le accuse all’imputato”, non pregiudica i suoi
diritti. Figurarsi se un giudice parla di un pregiudicato. Si spera
dunque vivamente che B. ci vada davvero, a Strasburgo. Troverà pane per i
suoi denti: fortuna vuole che Strasburgo non sia in Italia.
giovedì 8 agosto 2013
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