Secondo Angelo Panebianco, editorialista del Corriere (e non solo lui),
la condanna definitiva di B. per frode fiscale non dipende dal fatto
che B. è un frodatore fiscale, ma dallo “squilibrio di potenza fra
magistrati e politica”. Perché in Italia la politica sarebbe “un potere
debole e diviso” che non riesce a riformare il “potere molto più forte e
unito” della magistratura. Solo separando le carriere, abolendo
l’azione penale obbligatoria, trasformando il pm in “avvocato
dell’accusa”, spogliando il Csm, cambiando la scuola e il reclutamento
delle toghe e rimpolpando i poteri del governo nella Costituzione si
eviteranno sentenze come quella del 1° agosto. Forse Panebianco non sa
che in tutte le democrazie del mondo, anche quelle che hanno da sempre
nel loro ordinamento le riforme da lui auspicate, capita di continuo che
uomini politici vengano condannati se frodano il fisco, con l’aggiunta
che vengono pure arrestati e, un attimo prima, cacciati dalla vita
politica. Ma soprattutto il nostro esperto di nonsisachè ignora la
carriera criminale di B., che froda il fisco da quando aveva i calzoni
corti. E se non fu scoperto all’epoca è perché con i fondi neri
corrompeva politici, Guardia di Finanza e giudici che avrebbero potuto
scoperchiare le sue frodi fin dagli anni 70. Chi conosce il curriculum
del neo-pregiudicato non si stupisce per la condanna dell’altro giorno,
ma per il fatto che un tale delinquente matricolato sia rimasto a piede
libero fino a oggi.
La prima visita. Il 12 novembre 1979 una
squadretta della Guardia di Finanza ispeziona l’Edilnord Centri
Residenziali Sas che sta realizzando a Segrate la città-satellite di
Milano2, sospettata di varie irregolarità tributarie. Nel cantiere, con
alcuni operai, c’è un omino spelacchiato e imbrillantinato che si
presenta come “semplice consulente” della società. È Silvio Berlusconi,
il proprietario, iscritto da un anno alla loggia deviata P2. I
finanzieri vogliono sapere perché abbia prestato fideiussioni personali
in favore di Edilnord e Sogeat, società il cui capitale è ufficialmente
controllato da misteriosi soci svizzeri. Ma lui fa lo gnorri e mette a
verbale: “Ho svolto un ruolo molto importante nei confronti
dell’Edilnord Centri Residenziali e della Società generale attrezzature
Sas, perché entrambe mi hanno fin dall’inizio affidato l’incarico
professionale della progettazione e della direzione del complesso
residenziale Milano 2”. Anziché ridergli in faccia e approfondire le
indagini, il maggiore Massimo Maria Berruti che guida la squadra si beve
tutto, chiude l’ispezione in meno di un mese, nonostante le anomalie
finanziarie riscontrate e archivia tutto con una relazione rose e fiori.
Poi, il 12 marzo 1980, si dimette dalle Fiamme Gialle. Per qualche mese
lavora per l’avvocato d’affari Alessandro Carnelutti, titolare a Milano
di un importante studio legale con sedi a New York e Londra, dove si
appoggia all’avvocato inglese David Mackenzie Mills. Poi Berruti inizia a
lavorare per il gruppo Fininvest, specializzandosi in operazioni
finanziarie estere e in contratti per i calciatori stranieri del Milan.
Gli altri due graduati che erano con lui nel blitz del ’79 sono il
colonnello Salvatore Gallo e il capitano Alberto Corrado. Il nome di
Gallo verrà trovato nelle liste della loggia P2. Corrado verrà arrestato
nel ’94 e poi condannato con Berruti per i depistaggi nell’inchiesta
sulle mazzette Fininvest. Versate a chi? Alla Guardia di finanza,
naturalmente.
San Bettino vede e provvede. Nel 1980 Berlusconi
rischia di ritrovarsi un’altra volta la Finanza in casa. Allarmatissimo,
scrive una lettera al-l’amico Bettino Craxi, leader del Psi che
sostiene il governo Cossiga: “Caro Bettino, come ti ho accennato
verbalmente, Radio Fante ha annunciato che dopo la visita a Torino,
Guffanti e Ca-bassi, la Polizia tributaria si interesserà a me… Ti
ringrazio per quello che crederai sia giusto fare” (lettera pubblicata
dal fotografo di Craxi, Umberto Cicconi, in Segreti e misfatti, Roma
2005).
Che si sappia, anche quella volta le Fiamme Gialle si
tengono alla larga dal Biscione. Che evidentemente ha sempre più cose da
nascondere.
Giudici venduti e no
Il 24 maggio 1984 il
vicecapo dell’Ufficio Istruzione di Roma, Renato Squillante, interroga
B., assistito dall’avvocato Cesare Previti e imputato “ai sensi
dell’articolo 1 della legge 15/12/69 n. 932” per interruzione di
pubblico servizio a causa delle presunte antenne abusive sul Monte Cavo
che interferiscono nelle frequenze radio della Protezione civile e
dell’aeroporto di Fiumicino. Gli imputati sono un centinaio. Ma la
posizione di B. viene subito archiviata il 20 luglio 1985, mentre altri
45 rimarranno sulla graticola fino al 1992 e se la caveranno solo grazie
al-l’amnistia. Non potevano sapere che Squillante e Previti avevano
conti comunicanti in Svizzera. Insomma, che il giudice romano era a
libro paga della Fininvest.
Il 16 ottobre 1984 i pretori di
Torino, Pescara e Roma, Giuseppe Casalbore, Nicola Trifuoggi e Adriano
Sansa, sequestrano gli impianti che consentono a Canale 5, Italia 1 e
Rete 4 di trasmettere in contemporanea in tutt’Italia in spregio alla
legge. Craxi neutralizza le ordinanze con due “decreti Berlusconi”.
Mills e la Fininvest occulta
Nel 1989 l’avvocato Mills, consulente Fininvest da alcuni anni,
costituisce per conto del gruppo Berlusconi la All Iberian e decine di
altre società offshore (la Kpmg, per conto della Procura di Milano,
arriverà a contarne 64) domiciliate nelle isole del Canale (all’ombra di
Sua Maestà britannica), nelle Isole Vergini e in altri paradisi
fiscali. Ordine è partito dai responsabili della finanza estera del
gruppo, Candia Camaggi e Giorgio Vanoni. Nasce così il “Comparto B”
della Fininvest, “very discreet”, cioè occulto e in gran parte mai
dichiarato nei bilanci consolidati, alimentato perlopiù dalla Silvio
Berlusconi Finanziaria Sa (società lussemburghese regolarmente
registrata a bilancio), ma anche da denaro proveniente dal Cavaliere in
persona (in contanti, tramite “spalloni” che lo portano da Milano oltre
il confine elvetico). Sul conto svizzero di All Iberian, in soli sei
anni, transitano in nero quasi mille miliardi di lire. Usati per
operazioni riservate e inconfessabili, come confermeranno le sentenze
definitive All Iberian, Mills e Mediaset. Anzitutto, B. versa 23
miliardi a Craxi tra il 1990 e il ’91. Gira soldi di nascosto ai suoi
prestanome Renato Della Valle e Leo Kirch: non potendo, per la legge
Mammì, detenere piú del 10% di Telepiú, B. finanzia occultamente le
teste di legno che rilevano le sue quote eccedenti. Acquista per 456
miliardi il capitale di Telecinco, la tv spagnola, di cui per la legge
antitrust di Madrid non potrebbe controllare più del 25%. Presta soldi a
Giulio Margara, presidente di Auditel e direttore di Upa,
l’associazione utenti pubblicitari. Gira 16 miliardi a Previti, in parte
per pagarlo in nero in parte perché versi tangenti a giudici romani
come Squillante e Vittorio Metta (autore della sentenza comprata che nel
1990 scippa la Mondadori a De Benedetti per regalarla alla Fininvest).
Scala di nascosto i gruppi Rinascente, Standa e Mondadori in barba alla
normativa Consob . E soprattutto, tramite alcune offshore, intermedia
l’acquisto di film dalle major di Hollywood, facendone lievitare i costi
per 368 milioni di dollari e dunque abbattendo gli utili di Mediaset
per tutti gli anni 90, consentendo al gruppo di pagare meno imposte e al
beneficiario dei conti esterni, cioè a se stesso, di accumulare una
fortuna extrabilancio ed esentasse. E cosí via. Resta pure il sospetto
che parte del denaro di destinazione ignota sia servito a pagare i
politici del pentapartito per la legge Mammì del 1990 sull’emittenza:
quella che consente a B. di tenersi tutt’e tre le reti Fininvest in
barba a qualunque minimo principio antitrust. Lo testimoniano i
responsabili della Fiduciaria Orefici, che aiuta il Cavaliere a
foraggiare il conto All Iberian: il dirigente Fininvest Mario Moranzoni
confidò loro che “i politici costano, c’è in ballo la Mammí”. Per le
presunte tangenti Fininvest in cambio di quella legge, la magistratura
romana indagherà Gianni Letta e Adriano Galliani, ma l’ufficio Gip
guidato da Squillante negherà il loro arresto, e l’inchiesta finirà nel
nulla.
Le Fiamme Sporche
Nel 1989 il responsabile
servizi fiscali della Fininvest, Salvatore Sciascia, altro ex finanziere
passato alla corte del Cavaliere, si libera di una verifica fiscale a
Videotime (la società Fininvest che racchiude Canale5, Rete4 e Italia1)
versando ai finanzieri una tangente di 100 milioni di lire. Lo stesso fa
nel 1991 con 130 milioni scuciti per ammorbidire un’ispezione a
Mondadori. E poi nel 1992 con altri 100 milioni per una visita delle
Fiamme Gialle a Mediolanum. E ancora nel 1994 con 50 milioni perché i
finanzieri chiudano un occhio, o possibilmente due, durante un blitz
disposto dalla Procura di Roma e dal Garante per l’editoria sulla reale
proprietà di Telepiù: che, se dovesse risultare ancora in mano a B.
tramite i soliti prestanome (così com’è nella realtà), porterebbe
al-l’immediata revoca delle concessioni per Canale5, Rete4 e Italia1. Ma
anche quella volta i finanzieri corrotti se ne vanno con gli occhi
bendati. Nel ’94, appena un sottufficiale confessa a Di Pietro di aver
ricevuto parte di una tangente Fininvest, esplode lo scandalo Fiamme
Sporche, che in poche settimane porta all’arresto di un centinaio di
finanzieri corrotti e all’incriminazione di oltre 500 imprenditori e
manager corruttori (il Gotha dell’imprenditoria milanese). Confessano
quasi tutti. Tranne uno: Silvio B., che non può ammettere nulla perché è
appenadivenuto presidente del Consiglio. Sciascia dice che ha fatto
tutto per ordine di Paolo Berlusconi, Silvio non c’entra nulla. Intanto
l’avvocato Berruti chiama l’ex collega Corrado (quello dell’ispezione
del 1979), ormai in pensione, perché tappi la bocca sulle mazzette
Fininvest il capobanda, colonnello Angelo Tanca. E così avviene. Quando
il pool Mani Pulite ha pronta la richiesta di cattura per Sciascia e
Paolo, il governo di Silvio vieta la manette per corruzione col decreto
Biondi. È il 14 luglio ’94. L’Italia si ribella, Bossi e Fini si
defilano, B. è costretto a ritirare il decreto a furor di popolo, così
finiscono dentro Sciascia, Paolo, Corrado e Berruti. Il quale, si
scopre, prima di orchestrare il depistaggio è volato a Roma per
incontrare il premier a Palazzo Chigi. La prova che ha fatto tutto
Silvio, non Paolo. Di qui l’invito a comparire durante la conferenza Onu
di Napoli e poi il processo. Primo grado: condannati Silvio e Sciascia,
assolto Paolo. Appello: prescritto Silvio, condannato Sciascia.
Cassazione: condannato Sciascia, assolto per insufficienza di prove
Silvio, perché potrebbe essere stato Paolo, che però non può essere
riprocessato una volta assolto. La prova contro Silvio potrebbe, anzi
dovrebbe fornirla Mills, sentito come testimone al processo: purtroppo è
stato corrotto con 600mila dollari e mente ai giudici, salvando il
Cavaliere.
9 processi aboliti per legge
Ma le tangenti
c’erano, e quello che il gruppo Berlusconi ha da nascondere alla
Guardia di Finanza è più che evidente. Lo dimostra la miriade di
processi nati da quei fondi neri negli anni 90, quando i giudici e i
finanzieri corrotti iniziano a scarseggiare. Non potendoli neutralizzare
a monte a suon di mazzette, B. li cancella a valle con una raffica di
leggi ad personam: falso in bilancio, condoni fiscali ed ex Cirielli.
Risultato: 2 processi fulminati perché il reato non c’è più, cancellato
dall’imputato (All Iberian-2 e Sme-2) e 8 caduti in prescrizione.
L’ultimo, per il semplice decorrere del tempo, sulla divulgazione
dell’intercettazione della telefonata segreta e rubata tra Fassino e
Consorte. Gli altri 7: corruzione del giudice Metta per la sentenza
Mondadori e caso All Iberian-1 per i 23 miliardi a Craxi (prescritti
grazie alle attenuanti generiche); falsi in bilancio Fininvest anni 90;
altri falsi in bilancio per i 1550 miliardi di lire di fondi neri
sottratti al consolidato col sistema All Iberian; fondi neri nel
passaggio del calciatore Lentini dal Torino al Milan; corruzione
giudiziaria del teste Mills (prescritti grazie al-l’ex Cirielli);
appropriazioni indebite e i falsi in bilancio e la gran parte delle
frodi fiscali sui diritti Mediaset (prescritti grazie al combinato
disposto della legge sul falso in bilancio e all’ex Cirielli). I reati
superstiti, e cioè le frodi fiscali del 2002 e 2003, per un totale di 7
milioni di euro (su un totale di 360 milioni di dollari, ormai
evaporati), sono miracolosamente giunti in Cassazione per la sentenza
definitiva del 1° agosto prima della solita falcidie.
domenica 11 agosto 2013
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