martedì 13 agosto 2013
domenica 11 agosto 2013
Carriera di un evasore
Secondo Angelo Panebianco, editorialista del Corriere (e non solo lui),
la condanna definitiva di B. per frode fiscale non dipende dal fatto
che B. è un frodatore fiscale, ma dallo “squilibrio di potenza fra
magistrati e politica”. Perché in Italia la politica sarebbe “un potere
debole e diviso” che non riesce a riformare il “potere molto più forte e
unito” della magistratura. Solo separando le carriere, abolendo
l’azione penale obbligatoria, trasformando il pm in “avvocato
dell’accusa”, spogliando il Csm, cambiando la scuola e il reclutamento
delle toghe e rimpolpando i poteri del governo nella Costituzione si
eviteranno sentenze come quella del 1° agosto. Forse Panebianco non sa
che in tutte le democrazie del mondo, anche quelle che hanno da sempre
nel loro ordinamento le riforme da lui auspicate, capita di continuo che
uomini politici vengano condannati se frodano il fisco, con l’aggiunta
che vengono pure arrestati e, un attimo prima, cacciati dalla vita
politica. Ma soprattutto il nostro esperto di nonsisachè ignora la
carriera criminale di B., che froda il fisco da quando aveva i calzoni
corti. E se non fu scoperto all’epoca è perché con i fondi neri
corrompeva politici, Guardia di Finanza e giudici che avrebbero potuto
scoperchiare le sue frodi fin dagli anni 70. Chi conosce il curriculum
del neo-pregiudicato non si stupisce per la condanna dell’altro giorno,
ma per il fatto che un tale delinquente matricolato sia rimasto a piede
libero fino a oggi.
La prima visita. Il 12 novembre 1979 una squadretta della Guardia di Finanza ispeziona l’Edilnord Centri Residenziali Sas che sta realizzando a Segrate la città-satellite di Milano2, sospettata di varie irregolarità tributarie. Nel cantiere, con alcuni operai, c’è un omino spelacchiato e imbrillantinato che si presenta come “semplice consulente” della società. È Silvio Berlusconi, il proprietario, iscritto da un anno alla loggia deviata P2. I finanzieri vogliono sapere perché abbia prestato fideiussioni personali in favore di Edilnord e Sogeat, società il cui capitale è ufficialmente controllato da misteriosi soci svizzeri. Ma lui fa lo gnorri e mette a verbale: “Ho svolto un ruolo molto importante nei confronti dell’Edilnord Centri Residenziali e della Società generale attrezzature Sas, perché entrambe mi hanno fin dall’inizio affidato l’incarico professionale della progettazione e della direzione del complesso residenziale Milano 2”. Anziché ridergli in faccia e approfondire le indagini, il maggiore Massimo Maria Berruti che guida la squadra si beve tutto, chiude l’ispezione in meno di un mese, nonostante le anomalie finanziarie riscontrate e archivia tutto con una relazione rose e fiori. Poi, il 12 marzo 1980, si dimette dalle Fiamme Gialle. Per qualche mese lavora per l’avvocato d’affari Alessandro Carnelutti, titolare a Milano di un importante studio legale con sedi a New York e Londra, dove si appoggia all’avvocato inglese David Mackenzie Mills. Poi Berruti inizia a lavorare per il gruppo Fininvest, specializzandosi in operazioni finanziarie estere e in contratti per i calciatori stranieri del Milan. Gli altri due graduati che erano con lui nel blitz del ’79 sono il colonnello Salvatore Gallo e il capitano Alberto Corrado. Il nome di Gallo verrà trovato nelle liste della loggia P2. Corrado verrà arrestato nel ’94 e poi condannato con Berruti per i depistaggi nell’inchiesta sulle mazzette Fininvest. Versate a chi? Alla Guardia di finanza, naturalmente.
San Bettino vede e provvede. Nel 1980 Berlusconi rischia di ritrovarsi un’altra volta la Finanza in casa. Allarmatissimo, scrive una lettera al-l’amico Bettino Craxi, leader del Psi che sostiene il governo Cossiga: “Caro Bettino, come ti ho accennato verbalmente, Radio Fante ha annunciato che dopo la visita a Torino, Guffanti e Ca-bassi, la Polizia tributaria si interesserà a me… Ti ringrazio per quello che crederai sia giusto fare” (lettera pubblicata dal fotografo di Craxi, Umberto Cicconi, in Segreti e misfatti, Roma 2005).
Che si sappia, anche quella volta le Fiamme Gialle si tengono alla larga dal Biscione. Che evidentemente ha sempre più cose da nascondere.
Giudici venduti e no
Il 24 maggio 1984 il vicecapo dell’Ufficio Istruzione di Roma, Renato Squillante, interroga B., assistito dall’avvocato Cesare Previti e imputato “ai sensi dell’articolo 1 della legge 15/12/69 n. 932” per interruzione di pubblico servizio a causa delle presunte antenne abusive sul Monte Cavo che interferiscono nelle frequenze radio della Protezione civile e dell’aeroporto di Fiumicino. Gli imputati sono un centinaio. Ma la posizione di B. viene subito archiviata il 20 luglio 1985, mentre altri 45 rimarranno sulla graticola fino al 1992 e se la caveranno solo grazie al-l’amnistia. Non potevano sapere che Squillante e Previti avevano conti comunicanti in Svizzera. Insomma, che il giudice romano era a libro paga della Fininvest.
Il 16 ottobre 1984 i pretori di Torino, Pescara e Roma, Giuseppe Casalbore, Nicola Trifuoggi e Adriano Sansa, sequestrano gli impianti che consentono a Canale 5, Italia 1 e Rete 4 di trasmettere in contemporanea in tutt’Italia in spregio alla legge. Craxi neutralizza le ordinanze con due “decreti Berlusconi”.
Mills e la Fininvest occulta
Nel 1989 l’avvocato Mills, consulente Fininvest da alcuni anni, costituisce per conto del gruppo Berlusconi la All Iberian e decine di altre società offshore (la Kpmg, per conto della Procura di Milano, arriverà a contarne 64) domiciliate nelle isole del Canale (all’ombra di Sua Maestà britannica), nelle Isole Vergini e in altri paradisi fiscali. Ordine è partito dai responsabili della finanza estera del gruppo, Candia Camaggi e Giorgio Vanoni. Nasce così il “Comparto B” della Fininvest, “very discreet”, cioè occulto e in gran parte mai dichiarato nei bilanci consolidati, alimentato perlopiù dalla Silvio Berlusconi Finanziaria Sa (società lussemburghese regolarmente registrata a bilancio), ma anche da denaro proveniente dal Cavaliere in persona (in contanti, tramite “spalloni” che lo portano da Milano oltre il confine elvetico). Sul conto svizzero di All Iberian, in soli sei anni, transitano in nero quasi mille miliardi di lire. Usati per operazioni riservate e inconfessabili, come confermeranno le sentenze definitive All Iberian, Mills e Mediaset. Anzitutto, B. versa 23 miliardi a Craxi tra il 1990 e il ’91. Gira soldi di nascosto ai suoi prestanome Renato Della Valle e Leo Kirch: non potendo, per la legge Mammì, detenere piú del 10% di Telepiú, B. finanzia occultamente le teste di legno che rilevano le sue quote eccedenti. Acquista per 456 miliardi il capitale di Telecinco, la tv spagnola, di cui per la legge antitrust di Madrid non potrebbe controllare più del 25%. Presta soldi a Giulio Margara, presidente di Auditel e direttore di Upa, l’associazione utenti pubblicitari. Gira 16 miliardi a Previti, in parte per pagarlo in nero in parte perché versi tangenti a giudici romani come Squillante e Vittorio Metta (autore della sentenza comprata che nel 1990 scippa la Mondadori a De Benedetti per regalarla alla Fininvest). Scala di nascosto i gruppi Rinascente, Standa e Mondadori in barba alla normativa Consob . E soprattutto, tramite alcune offshore, intermedia l’acquisto di film dalle major di Hollywood, facendone lievitare i costi per 368 milioni di dollari e dunque abbattendo gli utili di Mediaset per tutti gli anni 90, consentendo al gruppo di pagare meno imposte e al beneficiario dei conti esterni, cioè a se stesso, di accumulare una fortuna extrabilancio ed esentasse. E cosí via. Resta pure il sospetto che parte del denaro di destinazione ignota sia servito a pagare i politici del pentapartito per la legge Mammì del 1990 sull’emittenza: quella che consente a B. di tenersi tutt’e tre le reti Fininvest in barba a qualunque minimo principio antitrust. Lo testimoniano i responsabili della Fiduciaria Orefici, che aiuta il Cavaliere a foraggiare il conto All Iberian: il dirigente Fininvest Mario Moranzoni confidò loro che “i politici costano, c’è in ballo la Mammí”. Per le presunte tangenti Fininvest in cambio di quella legge, la magistratura romana indagherà Gianni Letta e Adriano Galliani, ma l’ufficio Gip guidato da Squillante negherà il loro arresto, e l’inchiesta finirà nel nulla.
Le Fiamme Sporche
Nel 1989 il responsabile servizi fiscali della Fininvest, Salvatore Sciascia, altro ex finanziere passato alla corte del Cavaliere, si libera di una verifica fiscale a Videotime (la società Fininvest che racchiude Canale5, Rete4 e Italia1) versando ai finanzieri una tangente di 100 milioni di lire. Lo stesso fa nel 1991 con 130 milioni scuciti per ammorbidire un’ispezione a Mondadori. E poi nel 1992 con altri 100 milioni per una visita delle Fiamme Gialle a Mediolanum. E ancora nel 1994 con 50 milioni perché i finanzieri chiudano un occhio, o possibilmente due, durante un blitz disposto dalla Procura di Roma e dal Garante per l’editoria sulla reale proprietà di Telepiù: che, se dovesse risultare ancora in mano a B. tramite i soliti prestanome (così com’è nella realtà), porterebbe al-l’immediata revoca delle concessioni per Canale5, Rete4 e Italia1. Ma anche quella volta i finanzieri corrotti se ne vanno con gli occhi bendati. Nel ’94, appena un sottufficiale confessa a Di Pietro di aver ricevuto parte di una tangente Fininvest, esplode lo scandalo Fiamme Sporche, che in poche settimane porta all’arresto di un centinaio di finanzieri corrotti e all’incriminazione di oltre 500 imprenditori e manager corruttori (il Gotha dell’imprenditoria milanese). Confessano quasi tutti. Tranne uno: Silvio B., che non può ammettere nulla perché è appenadivenuto presidente del Consiglio. Sciascia dice che ha fatto tutto per ordine di Paolo Berlusconi, Silvio non c’entra nulla. Intanto l’avvocato Berruti chiama l’ex collega Corrado (quello dell’ispezione del 1979), ormai in pensione, perché tappi la bocca sulle mazzette Fininvest il capobanda, colonnello Angelo Tanca. E così avviene. Quando il pool Mani Pulite ha pronta la richiesta di cattura per Sciascia e Paolo, il governo di Silvio vieta la manette per corruzione col decreto Biondi. È il 14 luglio ’94. L’Italia si ribella, Bossi e Fini si defilano, B. è costretto a ritirare il decreto a furor di popolo, così finiscono dentro Sciascia, Paolo, Corrado e Berruti. Il quale, si scopre, prima di orchestrare il depistaggio è volato a Roma per incontrare il premier a Palazzo Chigi. La prova che ha fatto tutto Silvio, non Paolo. Di qui l’invito a comparire durante la conferenza Onu di Napoli e poi il processo. Primo grado: condannati Silvio e Sciascia, assolto Paolo. Appello: prescritto Silvio, condannato Sciascia. Cassazione: condannato Sciascia, assolto per insufficienza di prove Silvio, perché potrebbe essere stato Paolo, che però non può essere riprocessato una volta assolto. La prova contro Silvio potrebbe, anzi dovrebbe fornirla Mills, sentito come testimone al processo: purtroppo è stato corrotto con 600mila dollari e mente ai giudici, salvando il Cavaliere.
9 processi aboliti per legge
Ma le tangenti c’erano, e quello che il gruppo Berlusconi ha da nascondere alla Guardia di Finanza è più che evidente. Lo dimostra la miriade di processi nati da quei fondi neri negli anni 90, quando i giudici e i finanzieri corrotti iniziano a scarseggiare. Non potendoli neutralizzare a monte a suon di mazzette, B. li cancella a valle con una raffica di leggi ad personam: falso in bilancio, condoni fiscali ed ex Cirielli. Risultato: 2 processi fulminati perché il reato non c’è più, cancellato dall’imputato (All Iberian-2 e Sme-2) e 8 caduti in prescrizione. L’ultimo, per il semplice decorrere del tempo, sulla divulgazione dell’intercettazione della telefonata segreta e rubata tra Fassino e Consorte. Gli altri 7: corruzione del giudice Metta per la sentenza Mondadori e caso All Iberian-1 per i 23 miliardi a Craxi (prescritti grazie alle attenuanti generiche); falsi in bilancio Fininvest anni 90; altri falsi in bilancio per i 1550 miliardi di lire di fondi neri sottratti al consolidato col sistema All Iberian; fondi neri nel passaggio del calciatore Lentini dal Torino al Milan; corruzione giudiziaria del teste Mills (prescritti grazie al-l’ex Cirielli); appropriazioni indebite e i falsi in bilancio e la gran parte delle frodi fiscali sui diritti Mediaset (prescritti grazie al combinato disposto della legge sul falso in bilancio e all’ex Cirielli). I reati superstiti, e cioè le frodi fiscali del 2002 e 2003, per un totale di 7 milioni di euro (su un totale di 360 milioni di dollari, ormai evaporati), sono miracolosamente giunti in Cassazione per la sentenza definitiva del 1° agosto prima della solita falcidie.
La prima visita. Il 12 novembre 1979 una squadretta della Guardia di Finanza ispeziona l’Edilnord Centri Residenziali Sas che sta realizzando a Segrate la città-satellite di Milano2, sospettata di varie irregolarità tributarie. Nel cantiere, con alcuni operai, c’è un omino spelacchiato e imbrillantinato che si presenta come “semplice consulente” della società. È Silvio Berlusconi, il proprietario, iscritto da un anno alla loggia deviata P2. I finanzieri vogliono sapere perché abbia prestato fideiussioni personali in favore di Edilnord e Sogeat, società il cui capitale è ufficialmente controllato da misteriosi soci svizzeri. Ma lui fa lo gnorri e mette a verbale: “Ho svolto un ruolo molto importante nei confronti dell’Edilnord Centri Residenziali e della Società generale attrezzature Sas, perché entrambe mi hanno fin dall’inizio affidato l’incarico professionale della progettazione e della direzione del complesso residenziale Milano 2”. Anziché ridergli in faccia e approfondire le indagini, il maggiore Massimo Maria Berruti che guida la squadra si beve tutto, chiude l’ispezione in meno di un mese, nonostante le anomalie finanziarie riscontrate e archivia tutto con una relazione rose e fiori. Poi, il 12 marzo 1980, si dimette dalle Fiamme Gialle. Per qualche mese lavora per l’avvocato d’affari Alessandro Carnelutti, titolare a Milano di un importante studio legale con sedi a New York e Londra, dove si appoggia all’avvocato inglese David Mackenzie Mills. Poi Berruti inizia a lavorare per il gruppo Fininvest, specializzandosi in operazioni finanziarie estere e in contratti per i calciatori stranieri del Milan. Gli altri due graduati che erano con lui nel blitz del ’79 sono il colonnello Salvatore Gallo e il capitano Alberto Corrado. Il nome di Gallo verrà trovato nelle liste della loggia P2. Corrado verrà arrestato nel ’94 e poi condannato con Berruti per i depistaggi nell’inchiesta sulle mazzette Fininvest. Versate a chi? Alla Guardia di finanza, naturalmente.
San Bettino vede e provvede. Nel 1980 Berlusconi rischia di ritrovarsi un’altra volta la Finanza in casa. Allarmatissimo, scrive una lettera al-l’amico Bettino Craxi, leader del Psi che sostiene il governo Cossiga: “Caro Bettino, come ti ho accennato verbalmente, Radio Fante ha annunciato che dopo la visita a Torino, Guffanti e Ca-bassi, la Polizia tributaria si interesserà a me… Ti ringrazio per quello che crederai sia giusto fare” (lettera pubblicata dal fotografo di Craxi, Umberto Cicconi, in Segreti e misfatti, Roma 2005).
Che si sappia, anche quella volta le Fiamme Gialle si tengono alla larga dal Biscione. Che evidentemente ha sempre più cose da nascondere.
Giudici venduti e no
Il 24 maggio 1984 il vicecapo dell’Ufficio Istruzione di Roma, Renato Squillante, interroga B., assistito dall’avvocato Cesare Previti e imputato “ai sensi dell’articolo 1 della legge 15/12/69 n. 932” per interruzione di pubblico servizio a causa delle presunte antenne abusive sul Monte Cavo che interferiscono nelle frequenze radio della Protezione civile e dell’aeroporto di Fiumicino. Gli imputati sono un centinaio. Ma la posizione di B. viene subito archiviata il 20 luglio 1985, mentre altri 45 rimarranno sulla graticola fino al 1992 e se la caveranno solo grazie al-l’amnistia. Non potevano sapere che Squillante e Previti avevano conti comunicanti in Svizzera. Insomma, che il giudice romano era a libro paga della Fininvest.
Il 16 ottobre 1984 i pretori di Torino, Pescara e Roma, Giuseppe Casalbore, Nicola Trifuoggi e Adriano Sansa, sequestrano gli impianti che consentono a Canale 5, Italia 1 e Rete 4 di trasmettere in contemporanea in tutt’Italia in spregio alla legge. Craxi neutralizza le ordinanze con due “decreti Berlusconi”.
Mills e la Fininvest occulta
Nel 1989 l’avvocato Mills, consulente Fininvest da alcuni anni, costituisce per conto del gruppo Berlusconi la All Iberian e decine di altre società offshore (la Kpmg, per conto della Procura di Milano, arriverà a contarne 64) domiciliate nelle isole del Canale (all’ombra di Sua Maestà britannica), nelle Isole Vergini e in altri paradisi fiscali. Ordine è partito dai responsabili della finanza estera del gruppo, Candia Camaggi e Giorgio Vanoni. Nasce così il “Comparto B” della Fininvest, “very discreet”, cioè occulto e in gran parte mai dichiarato nei bilanci consolidati, alimentato perlopiù dalla Silvio Berlusconi Finanziaria Sa (società lussemburghese regolarmente registrata a bilancio), ma anche da denaro proveniente dal Cavaliere in persona (in contanti, tramite “spalloni” che lo portano da Milano oltre il confine elvetico). Sul conto svizzero di All Iberian, in soli sei anni, transitano in nero quasi mille miliardi di lire. Usati per operazioni riservate e inconfessabili, come confermeranno le sentenze definitive All Iberian, Mills e Mediaset. Anzitutto, B. versa 23 miliardi a Craxi tra il 1990 e il ’91. Gira soldi di nascosto ai suoi prestanome Renato Della Valle e Leo Kirch: non potendo, per la legge Mammì, detenere piú del 10% di Telepiú, B. finanzia occultamente le teste di legno che rilevano le sue quote eccedenti. Acquista per 456 miliardi il capitale di Telecinco, la tv spagnola, di cui per la legge antitrust di Madrid non potrebbe controllare più del 25%. Presta soldi a Giulio Margara, presidente di Auditel e direttore di Upa, l’associazione utenti pubblicitari. Gira 16 miliardi a Previti, in parte per pagarlo in nero in parte perché versi tangenti a giudici romani come Squillante e Vittorio Metta (autore della sentenza comprata che nel 1990 scippa la Mondadori a De Benedetti per regalarla alla Fininvest). Scala di nascosto i gruppi Rinascente, Standa e Mondadori in barba alla normativa Consob . E soprattutto, tramite alcune offshore, intermedia l’acquisto di film dalle major di Hollywood, facendone lievitare i costi per 368 milioni di dollari e dunque abbattendo gli utili di Mediaset per tutti gli anni 90, consentendo al gruppo di pagare meno imposte e al beneficiario dei conti esterni, cioè a se stesso, di accumulare una fortuna extrabilancio ed esentasse. E cosí via. Resta pure il sospetto che parte del denaro di destinazione ignota sia servito a pagare i politici del pentapartito per la legge Mammì del 1990 sull’emittenza: quella che consente a B. di tenersi tutt’e tre le reti Fininvest in barba a qualunque minimo principio antitrust. Lo testimoniano i responsabili della Fiduciaria Orefici, che aiuta il Cavaliere a foraggiare il conto All Iberian: il dirigente Fininvest Mario Moranzoni confidò loro che “i politici costano, c’è in ballo la Mammí”. Per le presunte tangenti Fininvest in cambio di quella legge, la magistratura romana indagherà Gianni Letta e Adriano Galliani, ma l’ufficio Gip guidato da Squillante negherà il loro arresto, e l’inchiesta finirà nel nulla.
Le Fiamme Sporche
Nel 1989 il responsabile servizi fiscali della Fininvest, Salvatore Sciascia, altro ex finanziere passato alla corte del Cavaliere, si libera di una verifica fiscale a Videotime (la società Fininvest che racchiude Canale5, Rete4 e Italia1) versando ai finanzieri una tangente di 100 milioni di lire. Lo stesso fa nel 1991 con 130 milioni scuciti per ammorbidire un’ispezione a Mondadori. E poi nel 1992 con altri 100 milioni per una visita delle Fiamme Gialle a Mediolanum. E ancora nel 1994 con 50 milioni perché i finanzieri chiudano un occhio, o possibilmente due, durante un blitz disposto dalla Procura di Roma e dal Garante per l’editoria sulla reale proprietà di Telepiù: che, se dovesse risultare ancora in mano a B. tramite i soliti prestanome (così com’è nella realtà), porterebbe al-l’immediata revoca delle concessioni per Canale5, Rete4 e Italia1. Ma anche quella volta i finanzieri corrotti se ne vanno con gli occhi bendati. Nel ’94, appena un sottufficiale confessa a Di Pietro di aver ricevuto parte di una tangente Fininvest, esplode lo scandalo Fiamme Sporche, che in poche settimane porta all’arresto di un centinaio di finanzieri corrotti e all’incriminazione di oltre 500 imprenditori e manager corruttori (il Gotha dell’imprenditoria milanese). Confessano quasi tutti. Tranne uno: Silvio B., che non può ammettere nulla perché è appenadivenuto presidente del Consiglio. Sciascia dice che ha fatto tutto per ordine di Paolo Berlusconi, Silvio non c’entra nulla. Intanto l’avvocato Berruti chiama l’ex collega Corrado (quello dell’ispezione del 1979), ormai in pensione, perché tappi la bocca sulle mazzette Fininvest il capobanda, colonnello Angelo Tanca. E così avviene. Quando il pool Mani Pulite ha pronta la richiesta di cattura per Sciascia e Paolo, il governo di Silvio vieta la manette per corruzione col decreto Biondi. È il 14 luglio ’94. L’Italia si ribella, Bossi e Fini si defilano, B. è costretto a ritirare il decreto a furor di popolo, così finiscono dentro Sciascia, Paolo, Corrado e Berruti. Il quale, si scopre, prima di orchestrare il depistaggio è volato a Roma per incontrare il premier a Palazzo Chigi. La prova che ha fatto tutto Silvio, non Paolo. Di qui l’invito a comparire durante la conferenza Onu di Napoli e poi il processo. Primo grado: condannati Silvio e Sciascia, assolto Paolo. Appello: prescritto Silvio, condannato Sciascia. Cassazione: condannato Sciascia, assolto per insufficienza di prove Silvio, perché potrebbe essere stato Paolo, che però non può essere riprocessato una volta assolto. La prova contro Silvio potrebbe, anzi dovrebbe fornirla Mills, sentito come testimone al processo: purtroppo è stato corrotto con 600mila dollari e mente ai giudici, salvando il Cavaliere.
9 processi aboliti per legge
Ma le tangenti c’erano, e quello che il gruppo Berlusconi ha da nascondere alla Guardia di Finanza è più che evidente. Lo dimostra la miriade di processi nati da quei fondi neri negli anni 90, quando i giudici e i finanzieri corrotti iniziano a scarseggiare. Non potendoli neutralizzare a monte a suon di mazzette, B. li cancella a valle con una raffica di leggi ad personam: falso in bilancio, condoni fiscali ed ex Cirielli. Risultato: 2 processi fulminati perché il reato non c’è più, cancellato dall’imputato (All Iberian-2 e Sme-2) e 8 caduti in prescrizione. L’ultimo, per il semplice decorrere del tempo, sulla divulgazione dell’intercettazione della telefonata segreta e rubata tra Fassino e Consorte. Gli altri 7: corruzione del giudice Metta per la sentenza Mondadori e caso All Iberian-1 per i 23 miliardi a Craxi (prescritti grazie alle attenuanti generiche); falsi in bilancio Fininvest anni 90; altri falsi in bilancio per i 1550 miliardi di lire di fondi neri sottratti al consolidato col sistema All Iberian; fondi neri nel passaggio del calciatore Lentini dal Torino al Milan; corruzione giudiziaria del teste Mills (prescritti grazie al-l’ex Cirielli); appropriazioni indebite e i falsi in bilancio e la gran parte delle frodi fiscali sui diritti Mediaset (prescritti grazie al combinato disposto della legge sul falso in bilancio e all’ex Cirielli). I reati superstiti, e cioè le frodi fiscali del 2002 e 2003, per un totale di 7 milioni di euro (su un totale di 360 milioni di dollari, ormai evaporati), sono miracolosamente giunti in Cassazione per la sentenza definitiva del 1° agosto prima della solita falcidie.
sabato 10 agosto 2013
Il condannato che parla. E non è un simpatico significato della smorfia
napoletana, bensì il senatore (ancora per poco) Berlusconi. Domenica
scorsa è salito sul palco, chiaramente abusivo, accolto al grido “ duce,
duce” e con le bandiere di forza Italia ritornate di moda. Per
ringraziare il suo esercito radunatosi, neanche tutto, sotto palazzo
Grazioli per mostrare la vicinanza al padrone in questo momento triste,
strappalacrime. E il Cavaliere ci sa fare. Come sempre. Dismette i panni
dello statista insofferente al dolore, alle intemperie e ai comunisti.
Non ha più quella veemenza di un giaguaro con ancora tutte le macchie, e
che per di più ha azzannato lo smacchiatore. Abbandona anche la sua
consueta misericordia che gli permise di perdonare il “lanciatore del
duomo”. Ma questa volta è troppo, anche per lui. Sale sul palco, perinde
ac cadaver, e ribadisce (minaccia?) di restare qui, deve solo scegliere
tra Rebibbia e Regina Coeli. Già nel 2003 dichiarò la sua assoluta
fiducia nella magistratura. “Questi giudici sono doppiamente matti! Per
prima cosa, perchè lo sono politicamente, e secondo sono matti comunque.
Per fare quel lavoro devi essere mentalmente disturbato, devi avere
delle turbe psichiche. Se fanno quel lavoro è perché sono
antropologicamente diversi dal resto della razza umana”. Come vuoi che
uno così non sia uno stinco di santo. E i suoi soldati ne sono convinti,
ma non perché hanno letto le carte processuali, già è molto che
leggano, ma perché non sanno neanche di che reato è stato condannato.
Sanno solo che ha tolto l’ ICI e che Ruby è la nipote di Mubarak( lui
non sanno chi sia). Il resto non importa. Allora tra signore che
difendono “ Berluscono” e combattono “ Grilli”, ad innalzare il livello
gnoseologico ci pensa l’ onorevole Santanchè :"Sia chiaro, niente
arresti domiciliari o servizi sociali. Berlusconi andrà in carcere. Gli
italiani devono sapere che si mette in carcere un uomo come Silvio
Berlusconi”. Nonostante la perversione molto fetish di verderlo ai
servizi sociali, innalza il livello di fiducia e di contentezza degli
italiani. Era ora. Anche perché sappiamo da tempo chi è quel
delinquente, piuttosto la domanda è un’ altra: come fa un evasore ad
essere ancora un politico ? E per chi sostiene che non si possano
esautorare 9 milioni di elettori dal Parlamento, bisogna ricordare che
se votano un evasore è colpa loro, la prossima volta votassero un
incensurato (difficile trovarlo) così saranno rappresentati nelle
Camere. Ma questo è nulla in confronto alla Mussolini che con la sua
consueta eleganza esprime il suo “““pensiero”””, meglio la sua nova
collezioni di magliette. Dopo con orgoglio dalla parte sbagliata, ciao
nonno, il diavolo veste prodi , questa volta “ c’ hann scassat o’ cazz”.
Lo stesso stato d’ animo che provano molti italiani nei confronti di
questa gente. Nonostante l’ intervento degli amici di una vita, quelli
che nel momento del bisogno ci sono sempre, come il Nipote secondo cui
“Governo delle larghe intese senza alternative, siamo a un passo dalla
fine della crisi”, questa volta la ribalta del Pd arriva, finalmente
dopo tre settimane di silenzio, da Matteo Renzi. Proprio lui che fino a
poco tempo fa sosteneva l’ eleggiblità di Berlusconi dato che lo è stato
fino a Febbraio. Forse serviva la sentenza della cassazione per fargli
capire che la legge si applica. O più semplicemente si inizia a
respirare aria di campagna elettorale. E nonostante dica di essere il
primo tifoso del governo Letta, in pieno stile trasformista, passa da
essere il ponte tra centrodestra e centrosinistra a bolscevico puro "Le
sentenze si rispettano e la legge è uguale per tutti.” Anche se poi in
piena ecstasy si è lasciato sfuggire “Il Pd deve salvare l'Italia" al
limite tra minaccia e supercazzola. Comunque sia con scappellamento a
destra. Dato che fino a prova contraria il Pd ha sempre salvato la il
Pdl. La stessa Santanchè continua:"O la grazia o cade il governo". “C’
hann scassat o’ cazz”.
venerdì 9 agosto 2013
Preghiera Lakota
Grande Spirito,
dovunque nel mondo i volti
dei vivi sono simili;
con tenerezza sono usciti dal suolo.
Veglia sui tuoi figli affinché possano
camminare nel vento
e seguire la retta via
che conduce al Giorno della Quiete.
Grande Spirito,
riempici di luce.
Dacci la forza per capire,
e gli occhi per vedere. Insegnaci
a camminare sulla dolce Terra
come genitori di tutto ciò che vive.
Contratti a tempo determinato: le nuove regole dopo la riforma del lavoro giovanile
Per i contratti a tempo determinato ci sono delle nuove regole dopo la riforma del lavoro giovanile. Il Governo ha, infatti, messo a punto il decreto lavoro e ha fatto notare come ci siano già quasi 2.000 aziende pronte ad utilizzare gli incentivi per l’occupazione. Ma quali sono i provvedimenti importanti che sono stati messi in atto, soprattutto a favore dei giovani? Vediamoli tutti.
I giovani potranno beneficiare di alcuni incentivi dati alle imprese disposte ad assumerli, ma potranno anche diventare imprenditori di loro stessi, con facilitazioni nel costituire una start up. Si promettono contratti più snelli e uno slittamento dell’aumento dell’Iva.
INCENTIVI PER CHI ASSUME – I datori di lavoro che assumeranno dipendenti con età compresa fra i 18 e i 29 anni entro il 30 giugno 2015 avranno diritto per 18 mesi a un contributo che corrisponde ad un terzo della retribuzione mensile lorda imponibile ai fini previdenziali. La cifra, comunque, non dovrà superare i 650 euro. Un altro incentivo del genere per 12 mesi andrà a chi trasforma un contratto a tempo determinato in uno a tempo indeterminato. Se i datori di lavoro decidono di stabilizzare un disoccupato che percepisce l’Aspi, riceveranno un contributo pari al 50% dell’indennità mensile residua.
START UP – Sarà più facile costituire una start up. Per le società a responsabilità limitata basterà un euro e i soci non per forza dovranno avere meno di 35 anni. Chi deciderà di investire nel capitale sociale di imprese innovative avrà delle agevolazioni fiscali.
APPRENDIMENTO PROFESSIONALIZZANTE – Sono state stabilite delle linee guida specifiche per l’apprendimento professionalizzante. I principi dovranno essere adottati dallo Stato e dalle Regioni entro il 30 settembre. In particolare, saranno finanziati i tirocini formativi, l’orientamento nel settore della cultura e l’alternanza scuola-lavoro.
SNELLIMENTO DEI CONTRATTI – Fra un contratto a termine e l’altro si avranno tempi più brevi. Si tratta da 60 a 10 giorni per i contratti fino a 6 mesi e da 90 a 20 giorni per quelli più lunghi. Se non c’è la pausa, automaticamente scatterà la conversione a tempo indeterminato. E’ stato fissato un limite massimo di chiamata per i lavori intermittenti. Il tutto corrisponde a 400 giornate in 3 anni.
I giovani potranno beneficiare di alcuni incentivi dati alle imprese disposte ad assumerli, ma potranno anche diventare imprenditori di loro stessi, con facilitazioni nel costituire una start up. Si promettono contratti più snelli e uno slittamento dell’aumento dell’Iva.
INCENTIVI PER CHI ASSUME – I datori di lavoro che assumeranno dipendenti con età compresa fra i 18 e i 29 anni entro il 30 giugno 2015 avranno diritto per 18 mesi a un contributo che corrisponde ad un terzo della retribuzione mensile lorda imponibile ai fini previdenziali. La cifra, comunque, non dovrà superare i 650 euro. Un altro incentivo del genere per 12 mesi andrà a chi trasforma un contratto a tempo determinato in uno a tempo indeterminato. Se i datori di lavoro decidono di stabilizzare un disoccupato che percepisce l’Aspi, riceveranno un contributo pari al 50% dell’indennità mensile residua.
START UP – Sarà più facile costituire una start up. Per le società a responsabilità limitata basterà un euro e i soci non per forza dovranno avere meno di 35 anni. Chi deciderà di investire nel capitale sociale di imprese innovative avrà delle agevolazioni fiscali.
APPRENDIMENTO PROFESSIONALIZZANTE – Sono state stabilite delle linee guida specifiche per l’apprendimento professionalizzante. I principi dovranno essere adottati dallo Stato e dalle Regioni entro il 30 settembre. In particolare, saranno finanziati i tirocini formativi, l’orientamento nel settore della cultura e l’alternanza scuola-lavoro.
SNELLIMENTO DEI CONTRATTI – Fra un contratto a termine e l’altro si avranno tempi più brevi. Si tratta da 60 a 10 giorni per i contratti fino a 6 mesi e da 90 a 20 giorni per quelli più lunghi. Se non c’è la pausa, automaticamente scatterà la conversione a tempo indeterminato. E’ stato fissato un limite massimo di chiamata per i lavori intermittenti. Il tutto corrisponde a 400 giornate in 3 anni.
Chi muove l'Esercito di Silvio
Alfano non li sopporta e anche la Santanché li guarda con sospetto. Ma
allora chi c'è dietro gli ultrà di Berlusconi? Una catena di comando
che va da Diego Volpe Pasini fino a Bondi passando per Dell'Utri. Mentre
il Cavaliere è pronto tanto a servirsene quanto a prendere le
distanze, a seconda della convenienza
L'ultima trovata è la petizione per l'amnistia. Una raccolta di firme per presentare al Parlamento la legge salva-Silvio, che nessun partito - per ragioni diverse - potrebbe proporre. Bastano 50 mila sottoscrizioni, fra i berlusconiani. Roba da poco. Ma soprattutto, se la proposta non arrivasse mai al voto, resta un modo per mettere in piedi sul territorio una struttura di volontari da far pesare al momento delle grandi decisioni.
Già. C'è un partito parallelo che da mesi si muove nel nome di Berlusconi, ma a sua insaputa. Ultimo nato è proprio l'Esercito di Silvio. Cui peraltro non crede nessuno. «Ma chi sono quelli lì?», ripetono i big pidiellini. «Che vogliono dal Presidente?».
Domanda legittima, se si pensa che il portavoce del movimento, Simone Furlan, padovano, è talmente poco noto al suo partito da non avere alcun rapporto nemmeno con il suo concittadino più illustre alla corte del Cav, l'avvocato Niccolò Ghedini. Tanto che il legale dell'ex premier non fa mistero di vedere come fumo negli occhi le iniziative populiste che da un anno a questa parte nascono come funghi intorno al quasi ex Cavaliere. Eppure, se si fa qualche verifica in loco, dalle truppe dell'Esercito spunta un altro nome noto.
Fra i primissimi arruolati, c'è pure Diego Volpe Pasini, l'imprenditore friulano che un anno fa cenava in allegria a casa di Berlusconi, in compagnia di avvocati, finanzieri e qualche amica. Lo stesso che vergò il piano "Rosa tricolore", bollato dai vertici del Pdl come la «fantasia di un pazzo», ma discusso con Berlusconi il 21 giugno 2012. E, soprattutto, che conteneva un'indicazione: il ritorno a Forza Italia. Pazzo, peone, mitomane quanto si vuole, quel progetto si è manifestato a distanza di un anno sotto la residenza romana del Cavaliere.
Quando è ricomparso il simbolo della discesa in campo del 1994. «Oggi sono tutti favorevoli al ritorno di Forza Italia, ma quando io organizzai a Milano la prima manifestazione con le vecchie bandiere fui lasciato solo», si sfoga Volpe Pasini. Che da quei giorni di lite con il segretario Angelino Alfano ha congelato, suo malgrado, i rapporti con Silvio. E così, nel mondo parallelo dei fan di Berlusconi, ecco comparire anche il sindaco di Pavia Alessandro Cattaneo, così come l'avvocato Gianpiero Samorì, classe ? 57, modenese, milionario, fondatore dei "Moderati rivoluzionari" con ambizioni di ministro.
A portarlo da Berlusconi fu Volpe Pasini, ancora lui, e, oggi che l'Esercito cresce, è sempre Volpe Pasini a tessere la rete. E a mettere insieme mondi diversi. Oltre ad Alfano, a sbarrare la porta ai ribelli ci sono pure Maurizio Gasparri e Daniela Santanché, titolari della corrente dei falchi e tacciati, dai ribelli, di essere berlusconiani dell'ultima ora. E ancora l'ex ministro Maria Stella Gelmini. Fra i big, però, c'è pure chi, senza farsi troppo notare, tiene aperto un ponte con i filo-Cav.
Anche perché se ufficialmente Berlusconi sta con i vertici del suo partito e censura, censura e censura, tiene sempre aperta una porta all'ipotesi bis. E cioè che domani possa tornargli utile proprio quella mobilitazione, che non è costata fatica. E che, all'occorrenza, può essere sconfessata con un tweet.
Fra i coordinatori, il più aperto è Denis Verdini, così come l'ex pupillo di Silvio, Raffaele Fitto, e lo stesso Sandro Bondi, quello che invocò la "guerra civile" e, poche ore dopo, vide scendere in piazza proprio l'Esercito di Silvio. Buoni i rapporti anche con Marcello Dell'Utri, che nel piano del 2012 figurava fra i leader storici da non rottamare. Ma che ne sarà dei soldati berlusconiani? Conoscendo Volpe Pasini, slogan a parte, quel che conterà saranno le "caserme della libertà" che, grazie alla raccolta di firme per l'aministia, riusciranno ad aprire. Con l'obiettivo di rientrare dalla porta di Forza Italia, dopo essere stati lanciati dalla finestra del Pdl.
L'ultima trovata è la petizione per l'amnistia. Una raccolta di firme per presentare al Parlamento la legge salva-Silvio, che nessun partito - per ragioni diverse - potrebbe proporre. Bastano 50 mila sottoscrizioni, fra i berlusconiani. Roba da poco. Ma soprattutto, se la proposta non arrivasse mai al voto, resta un modo per mettere in piedi sul territorio una struttura di volontari da far pesare al momento delle grandi decisioni.
Già. C'è un partito parallelo che da mesi si muove nel nome di Berlusconi, ma a sua insaputa. Ultimo nato è proprio l'Esercito di Silvio. Cui peraltro non crede nessuno. «Ma chi sono quelli lì?», ripetono i big pidiellini. «Che vogliono dal Presidente?».
Domanda legittima, se si pensa che il portavoce del movimento, Simone Furlan, padovano, è talmente poco noto al suo partito da non avere alcun rapporto nemmeno con il suo concittadino più illustre alla corte del Cav, l'avvocato Niccolò Ghedini. Tanto che il legale dell'ex premier non fa mistero di vedere come fumo negli occhi le iniziative populiste che da un anno a questa parte nascono come funghi intorno al quasi ex Cavaliere. Eppure, se si fa qualche verifica in loco, dalle truppe dell'Esercito spunta un altro nome noto.
Fra i primissimi arruolati, c'è pure Diego Volpe Pasini, l'imprenditore friulano che un anno fa cenava in allegria a casa di Berlusconi, in compagnia di avvocati, finanzieri e qualche amica. Lo stesso che vergò il piano "Rosa tricolore", bollato dai vertici del Pdl come la «fantasia di un pazzo», ma discusso con Berlusconi il 21 giugno 2012. E, soprattutto, che conteneva un'indicazione: il ritorno a Forza Italia. Pazzo, peone, mitomane quanto si vuole, quel progetto si è manifestato a distanza di un anno sotto la residenza romana del Cavaliere.
Quando è ricomparso il simbolo della discesa in campo del 1994. «Oggi sono tutti favorevoli al ritorno di Forza Italia, ma quando io organizzai a Milano la prima manifestazione con le vecchie bandiere fui lasciato solo», si sfoga Volpe Pasini. Che da quei giorni di lite con il segretario Angelino Alfano ha congelato, suo malgrado, i rapporti con Silvio. E così, nel mondo parallelo dei fan di Berlusconi, ecco comparire anche il sindaco di Pavia Alessandro Cattaneo, così come l'avvocato Gianpiero Samorì, classe ? 57, modenese, milionario, fondatore dei "Moderati rivoluzionari" con ambizioni di ministro.
A portarlo da Berlusconi fu Volpe Pasini, ancora lui, e, oggi che l'Esercito cresce, è sempre Volpe Pasini a tessere la rete. E a mettere insieme mondi diversi. Oltre ad Alfano, a sbarrare la porta ai ribelli ci sono pure Maurizio Gasparri e Daniela Santanché, titolari della corrente dei falchi e tacciati, dai ribelli, di essere berlusconiani dell'ultima ora. E ancora l'ex ministro Maria Stella Gelmini. Fra i big, però, c'è pure chi, senza farsi troppo notare, tiene aperto un ponte con i filo-Cav.
Anche perché se ufficialmente Berlusconi sta con i vertici del suo partito e censura, censura e censura, tiene sempre aperta una porta all'ipotesi bis. E cioè che domani possa tornargli utile proprio quella mobilitazione, che non è costata fatica. E che, all'occorrenza, può essere sconfessata con un tweet.
Fra i coordinatori, il più aperto è Denis Verdini, così come l'ex pupillo di Silvio, Raffaele Fitto, e lo stesso Sandro Bondi, quello che invocò la "guerra civile" e, poche ore dopo, vide scendere in piazza proprio l'Esercito di Silvio. Buoni i rapporti anche con Marcello Dell'Utri, che nel piano del 2012 figurava fra i leader storici da non rottamare. Ma che ne sarà dei soldati berlusconiani? Conoscendo Volpe Pasini, slogan a parte, quel che conterà saranno le "caserme della libertà" che, grazie alla raccolta di firme per l'aministia, riusciranno ad aprire. Con l'obiettivo di rientrare dalla porta di Forza Italia, dopo essere stati lanciati dalla finestra del Pdl.
giovedì 8 agosto 2013
Processano il Giudice, assolvono il condannato
Il pregiudicato innocente (Marco Travaglio).
Da Il Fatto Quotidiano del 08/08/2013.
Poniamo che in un qualunque processo, uno degli 80mila che celebra ogni anno la Cassazione, un giornalista chiedesse a un giudice perché ha confermato la condanna di Tizio e il giudice rispondesse: “Perché era colpevole”. Che farebbero i giornali? Non riprenderebbero nemmeno la notizia, essendo assolutamente ovvio che un giudice condanni un imputato che ritiene colpevole. Sarebbe strano il contrario, e lì sì che si scatenerebbe il putiferio, se cioè un giudice che ha appena condannato Tizio dichiarasse: “Secondo me era innocente, ma l’ho condannato lo stesso”. Il guaio del presidente Esposito è che il suo non è un processo normale, perché l’imputato si chiama B., che ha nelle sue mani, o ai suoi piedi, il 90% dei giornali e delle tv. Dunque diventa tutto uno scandalo anche la normalità: un giudice che conferma la sentenza d’appello che condanna B. perché non solo sapeva, ma era il “regista” e il “beneficiario” di un gigantesco sistema di frode fiscale durato anni messo in piedi da lui; e poi spiega off record a un giornale scorretto (che concorda con lui un testo e poi ne pubblica un altro e continua a non divulgare l’audio integrale da cui risulta che il giudice non rispondeva a una domanda su B.) che la conferma non si basa sulla sciocchezza del “non poteva non sapere”, ma sulla prova provata che B. sapeva (anzi, ordinava). Non solo, ma il fatto di ribadire che B. era colpevole perché sapeva, anzi ordinava, diventa la prova che B. era innocente perché non sapeva e non ordinava. Se non ci fosse da piangere, verrebbe da sbudellarsi dal ridere. I giuristi di corte, quelli che non distinguono un codice da un paracarro, sono scatenati. Per Sallusti, un giudice che dà del colpevole a un pregiudicato è, nell’ordine: “scorretto, illegale, vile, inadatto, pericoloso, imbroglione, indegno, scellerato, bugiardo”, da “radiare dalla magistratura”, mentre la sentenza decisa da lui e da altri 4 giudici (da lui contagiati per infezione) “non dovrebbe avere nessun valore” e va “annullata” come sostengono “alcuni giuristi” di sua conoscenza (Gambadilegno, Macchianera e la Banda Bassotti al completo). Belpietro, altro giureconsulto di scuola arcoriana e libero docente di diritto comparato, ha saputo che “in altri Paesi ciò costituisce immediata causa di ricusazione del magistrato o di revisione della sentenza”: poi però non precisa quali siano, questi “altri paesi” della cuccagna dove un giudice che parla dopo invalida la sentenza emessa prima.
Intanto B., sempre in guerra contro la legge ma soprattutto contro logica, sostiene che questa è la prova che “la sentenza era già scritta”: ma se fosse già scritta, perché accusa Esposito di aver parlato prima di scriverla? Strepitoso il duo Brunetta & Schifani: invocano punizioni esemplari contro Esposito perché ha parlato e contemporaneamente una fantomatica “riforma della giustizia” per proibirgli di parlare: e così ammettono che nessuna norma gli vietava di parlare. Secondo Franco Coppi, il fatto è “inaudito” perché “non s’è mai visto un presidente di collegio che anticipa la motivazione della sentenza”: invece s’è visto un sacco di volte. L’ultima, quando il presidente della Corte d’appello di Perugia, Claudio Pratillo Hellmann, all’indomani della lettura del dispositivo della sentenza che assolveva Amanda Knox e Raffaele Sollecito per il delitto di Meredith Kercher, incontrò pubblicamente i giornalisti per spiegare perché i due erano innocenti e i giudici di primo grado avevano preso una cantonata. Nessuno disse nulla, nessuno aprì procedimenti disciplinari, tutti fermi e zitti. Poteva mancare sul Corriere l’illuminato parere di Antonio Polito? No che non poteva. Eccolo infatti avventurarsi pericolosamente su un terreno a lui ignoto – il diritto – con corbellerie sesquipedali. Invoca le solite “riforme della giustizia”, ignorando che se ne son fatte 110 in 20 anni.
Blatera di “sanzione disciplinare”, ignorando che questi illeciti sono tipizzati con precisione dal nuovo ordinamento giudiziario n. 269 del 2006 (a proposito di riforme della giustizia), che punisce “le pubbliche dichiarazioni o interviste che riguardino soggetti coinvolti negli affari in corso di trattazione”, non in quelli già chiusi con sentenza definitiva. Del resto se Polito, per punire Esposito, invoca una nuova legge, vuol dire che lo sa anche lui che con quella attuale non lo si può punire, visto che l’ha rispettata. Alla fine El Drito si supera: Esposito non doveva parlare perché, essendo “un giudice e non un accusatore”, è “obbligato alla terzietà”: sì, ma prima del processo, non dopo. Un giudice che condanna, o assolve, non è più terzo: avete mai visto accusare l’arbitro di non essere più terzo rispetto a un fallo da rigore per aver fischiato un rigore e aver detto che era rigore?
Ma la farsa non finisce qui, perché la premiata ditta B&Coppi&Ghedini vuole ricorrere alla Corte europea dei Diritti del-l’Uomo. Grande idea. Oltre ad aver respinto tre ricorsi di Previti contro le sue condanne per Imi-Sir e Mondadori, la Corte di Strasburgo il 29 maggio 2012 ha dato ragione a un pm del-l’Estonia accusato di aver rilasciato interviste e dichiarazioni alla stampa e alla tv su una sua indagine contro un giudice corrotto, condizionando i giudici e violando la presunzione di innocenza. E, secondo la Corte, fece benissimo perché l’opinione pubblica “dev’essere informata su questioni di interesse collettivo”, come le inchieste su personaggi pubblici; e, se il magistrato indica “le accuse all’imputato”, non pregiudica i suoi diritti. Figurarsi se un giudice parla di un pregiudicato. Si spera dunque vivamente che B. ci vada davvero, a Strasburgo. Troverà pane per i suoi denti: fortuna vuole che Strasburgo non sia in Italia.
Da Il Fatto Quotidiano del 08/08/2013.
Poniamo che in un qualunque processo, uno degli 80mila che celebra ogni anno la Cassazione, un giornalista chiedesse a un giudice perché ha confermato la condanna di Tizio e il giudice rispondesse: “Perché era colpevole”. Che farebbero i giornali? Non riprenderebbero nemmeno la notizia, essendo assolutamente ovvio che un giudice condanni un imputato che ritiene colpevole. Sarebbe strano il contrario, e lì sì che si scatenerebbe il putiferio, se cioè un giudice che ha appena condannato Tizio dichiarasse: “Secondo me era innocente, ma l’ho condannato lo stesso”. Il guaio del presidente Esposito è che il suo non è un processo normale, perché l’imputato si chiama B., che ha nelle sue mani, o ai suoi piedi, il 90% dei giornali e delle tv. Dunque diventa tutto uno scandalo anche la normalità: un giudice che conferma la sentenza d’appello che condanna B. perché non solo sapeva, ma era il “regista” e il “beneficiario” di un gigantesco sistema di frode fiscale durato anni messo in piedi da lui; e poi spiega off record a un giornale scorretto (che concorda con lui un testo e poi ne pubblica un altro e continua a non divulgare l’audio integrale da cui risulta che il giudice non rispondeva a una domanda su B.) che la conferma non si basa sulla sciocchezza del “non poteva non sapere”, ma sulla prova provata che B. sapeva (anzi, ordinava). Non solo, ma il fatto di ribadire che B. era colpevole perché sapeva, anzi ordinava, diventa la prova che B. era innocente perché non sapeva e non ordinava. Se non ci fosse da piangere, verrebbe da sbudellarsi dal ridere. I giuristi di corte, quelli che non distinguono un codice da un paracarro, sono scatenati. Per Sallusti, un giudice che dà del colpevole a un pregiudicato è, nell’ordine: “scorretto, illegale, vile, inadatto, pericoloso, imbroglione, indegno, scellerato, bugiardo”, da “radiare dalla magistratura”, mentre la sentenza decisa da lui e da altri 4 giudici (da lui contagiati per infezione) “non dovrebbe avere nessun valore” e va “annullata” come sostengono “alcuni giuristi” di sua conoscenza (Gambadilegno, Macchianera e la Banda Bassotti al completo). Belpietro, altro giureconsulto di scuola arcoriana e libero docente di diritto comparato, ha saputo che “in altri Paesi ciò costituisce immediata causa di ricusazione del magistrato o di revisione della sentenza”: poi però non precisa quali siano, questi “altri paesi” della cuccagna dove un giudice che parla dopo invalida la sentenza emessa prima.
Intanto B., sempre in guerra contro la legge ma soprattutto contro logica, sostiene che questa è la prova che “la sentenza era già scritta”: ma se fosse già scritta, perché accusa Esposito di aver parlato prima di scriverla? Strepitoso il duo Brunetta & Schifani: invocano punizioni esemplari contro Esposito perché ha parlato e contemporaneamente una fantomatica “riforma della giustizia” per proibirgli di parlare: e così ammettono che nessuna norma gli vietava di parlare. Secondo Franco Coppi, il fatto è “inaudito” perché “non s’è mai visto un presidente di collegio che anticipa la motivazione della sentenza”: invece s’è visto un sacco di volte. L’ultima, quando il presidente della Corte d’appello di Perugia, Claudio Pratillo Hellmann, all’indomani della lettura del dispositivo della sentenza che assolveva Amanda Knox e Raffaele Sollecito per il delitto di Meredith Kercher, incontrò pubblicamente i giornalisti per spiegare perché i due erano innocenti e i giudici di primo grado avevano preso una cantonata. Nessuno disse nulla, nessuno aprì procedimenti disciplinari, tutti fermi e zitti. Poteva mancare sul Corriere l’illuminato parere di Antonio Polito? No che non poteva. Eccolo infatti avventurarsi pericolosamente su un terreno a lui ignoto – il diritto – con corbellerie sesquipedali. Invoca le solite “riforme della giustizia”, ignorando che se ne son fatte 110 in 20 anni.
Blatera di “sanzione disciplinare”, ignorando che questi illeciti sono tipizzati con precisione dal nuovo ordinamento giudiziario n. 269 del 2006 (a proposito di riforme della giustizia), che punisce “le pubbliche dichiarazioni o interviste che riguardino soggetti coinvolti negli affari in corso di trattazione”, non in quelli già chiusi con sentenza definitiva. Del resto se Polito, per punire Esposito, invoca una nuova legge, vuol dire che lo sa anche lui che con quella attuale non lo si può punire, visto che l’ha rispettata. Alla fine El Drito si supera: Esposito non doveva parlare perché, essendo “un giudice e non un accusatore”, è “obbligato alla terzietà”: sì, ma prima del processo, non dopo. Un giudice che condanna, o assolve, non è più terzo: avete mai visto accusare l’arbitro di non essere più terzo rispetto a un fallo da rigore per aver fischiato un rigore e aver detto che era rigore?
Ma la farsa non finisce qui, perché la premiata ditta B&Coppi&Ghedini vuole ricorrere alla Corte europea dei Diritti del-l’Uomo. Grande idea. Oltre ad aver respinto tre ricorsi di Previti contro le sue condanne per Imi-Sir e Mondadori, la Corte di Strasburgo il 29 maggio 2012 ha dato ragione a un pm del-l’Estonia accusato di aver rilasciato interviste e dichiarazioni alla stampa e alla tv su una sua indagine contro un giudice corrotto, condizionando i giudici e violando la presunzione di innocenza. E, secondo la Corte, fece benissimo perché l’opinione pubblica “dev’essere informata su questioni di interesse collettivo”, come le inchieste su personaggi pubblici; e, se il magistrato indica “le accuse all’imputato”, non pregiudica i suoi diritti. Figurarsi se un giudice parla di un pregiudicato. Si spera dunque vivamente che B. ci vada davvero, a Strasburgo. Troverà pane per i suoi denti: fortuna vuole che Strasburgo non sia in Italia.
sabato 3 agosto 2013
venerdì 2 agosto 2013
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