domenica 29 gennaio 2012
blitz anti-evasione
Emergenza è la precarietà
"Non commento le indiscrezioni o le provocazioni di qualche giornale. Speriamo che il governo non cada nel tranello di alimentare le ipotesi più disparate e inverosimili" afferma il leader della Cisl, Raffaele Bonanni in merito alla riforma del mercato del lavoro. "La Cisl - aggiunge - è per trovare una sintesi, con una trattativa senza paletti che privilegi una soluzione condivisa da tutte la parti sociali e dalla maggioranza parlamentare. Quindi è meglio evitare le fantasie e lasciare alle parti in causa la soluzione dei problemi sui temi del lavoro".
Polemico anche il leader della Uil, Luigi Angeletti: "A proposito del confronto sulla riforma del mercato del lavoro, deve essere chiaro che una trattativa deve avere una 'mission': dobbiamo sapere se vogliamo fare un accordo o solo uno scambio di opinioni".
Mercoledì si terrà l'incontro preliminare tra le parti sociali in vista del nuovo confronto con il ministro del Welfare. All'incontro parteciperanno tutte le sigle che hanno partecipato al tavolo di lunedì della scorsa settimana: Cgil, Cisl, Uil e Ugl, Confindustria, Rete imprese, Abi e Ania. Sarà quindi non prima della metà della settimana e potrebbe essere quindi giovedì il giorno in cui le parti torneranno a sedersi al tavolo con il ministro Fornero per affrontare la riforma.
Confermati i quattro filoni fondamentali: forme contrattuali, formazione flessibilità e ammortizzatori sociali , rimodulati dai cinque inizialmente previsti nell'incontro di una settimana fa (tipologie contrattuali; formazione e apprendistato; flessibilità; ammortizzatori sociali; servizi per il lavoro) che dovrebbero andare ad articolarsi in quattro tavoli distinti.
Contratti, formazione, flessibilità, ammortizzatori: lavoro by Fornero
– “Ripartiamo da quattro tavoli: forme contrattuali, formazione, flessibilità e ammortizzatori sociali”. Sono questi i punti chiave della riforma del lavoro che il ministro del Welfare Elsa Fornero discuterà tra mercoledì 1 febbraio e giovedì 2 febbraio con imprese e sindacato. Una riforma che per Fornero è “necessaria, anche in relazione ai nostri impegni con l’Europa”, ma che incontra le resistenze di Cgil, Cisl e Uil soprattutto per le questioni cassa integrazione straordinaria e per l’articolo 18.
La riforma sarà “spacchettata”: questo è l’escamotage di Fornero e del premier Mario Monti per evitare che il confronto si blocchi subito su singoli capitoli al primo confronto tra governo e sindacati.
FORME CONTRATTUALI - L’obiettivo è ridurre il numero delle tipologie contrattuali attraverso il meccanismo degli incentivi e dei disincentivi al loro utilizzo. Le tipologie di contratto in vigore sono 46, alcune come il part time o i contratti a progetto sono state più positive rispetto al lavoro interinale, spesso utilizzato per abusi sui lavoratori.
Si prospetta l’arrivo di un “contratto unico” sul modello di Boeri-Garibaldi, ma anche il modello Ichino entra in gioco. L’idea cardine infatti è quella di un contratto di base per i neo assunti di durata triennale e con tutele crescenti nel tempo. Contratto di apprendistato per i giovani, “sul quale c’è ampia condivisione” tra Fornero e gli esponenti dei sindacati Bonanni, Camusso e Angeletti.
FORMAZIONE PERMANENTE – La formazione deve essere continuativa: dall’inizio dell’attività nel ciclo produttivo fino all’anzianità. Con l’aumento dell’età pensionabile le aziende devono garantire una formazione tale che chi perde il lavoro in età avanzata possa rientrare nel mercato nonostante abbia superato i 50 ani di età.
FLESSIBILITÀ – La flessibilità dovrà valere sia per l’entrata che per l’uscita dal lavoro. Fornero ha spiegato che questo non vuol dire che sarà abolito l’obbligo di reintegro per i lavoratori licenziati senza giusta causa o giustificato motivo. “Dobbiamo depurare la questione dal suo valore ideologico: il governo sulla flessibilità non ha né uno spirito di rivincita, né la voglia di imporre un suo diktat. Cerchiamo solo di risolvere un problema, senza traumi né conflitti”, ha detto Fornero.
“Oggi esiste un legame eccessivo tra il singolo lavoratore e il suo posto di lavoro. – ha aggiunto Fornero – Un legame che si tende a far “resistere”, molto spesso, anche quando l’azienda che fornisce quel posto di lavoro non è più in grado di assicurarlo. Questo problema va risolto - ed ha concluso – Nessuno, nel governo, si sogna di mettere a repentaglio i diritti, perché i diritti sono la base del patto sociale”.
AMMORTIZZATORI SOCIALI– “Nessuno può pensare che tutto cambi da domani mattina: c’è un’emergenza, che va affrontata subito, e c’è un disegno di più lungo respiro”, ha detto il ministro del Welfare. Le risorse degli ammortizzatori andranno spostate affinché strumenti come il salario minimo rafforzino l’assistenza.
Fornero sottolinea che la riforma ha come obiettivo quella di trovare nuovi strumenti, perché quelli che abbiamo “non sono più adeguati ai tempi che stiamo vivendo”. Il problema per questo capitolo della riforma del lavoro rimane l’assenza di fondi.
La cassa integrazione rimane il nodo più difficile da sciogliere e sul quale la reazione di sindacati ed imprese è stata più violenta. Un cambiamento per Fornero necessario, ma che assicura: “Nessuno sarà abbandonato al suo destino”
venerdì 27 gennaio 2012
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7.000 delegati e dirigenti oggi alla manifestazione della CGIL delle regioni del Nord: "NON PIEGHIAMO I DIRITTI”. Il dibattito e le conclusioni di SUSANNA CAMUSSO |
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26/01/2012 Si è tenuta stamani, al Mediolanum Forum di Assago, l'Assemblea interregionale della CGIL della Lombardia e di altre sette regioni del Nord Italia, conclusa dal Segretario generale Susanna Camusso. |
giovedì 26 gennaio 2012
Giovedì 26 Genn 2012; in diretta dal Forum di Assago
alcuni appunti dell'intervento durato un ora e 15 minuti:
-Ma quelli che stanno facendo sciopero e casini in questi giorni, dove erano nel ventennio precedente del periodo berlusconiano ?
-Si fermi lo sciopero dei tir per evitare ulteriore inflazione. Se diamo un colpo in su ai costi, dopo le manifestazioni chi controllerà che i prezzi torneranno a calare?
-Siamo l'unico paese dove per entrare in una pompa di benzina serve accedere a un mutuo.
-Questa crisi non ci é stata mandata dal cielo, e paghi chi l'ha causata, non sempre i più deboli.
-Questo governo coi suoi difetti, a differenza del precedente ci ha detto la verità, non che tutto va bene e raccontare barzellette quando eravamo sull'orlo del baratro.
-Con questo governo abbiamo ripreso a dialogare con l'Europa non a farci prendere in giro con sorrisetti.
-Se non si mette in moto la curva della disoccupazione non ci può essere riprese.
-Ci dica la fiat cosa vuole fare, non spot.
-Un paese che vede l'orizzonte è un paese che ha una seria politica industriale.
-Un paese che a ogni grande pioggia affoghi sotto se stesso non può essere un paese in crescita.
-Un paese che si cura del lavoro crede nel suo futuro.
-Senza democrazia in fabbrica, non c'è democrazia nel paese.
-Non é che tenendo aperto di più i negozi, l'economia riprende. Se non ci sono soldi, se non c'è lavoro l'economia non gira.
-Dimissioni in bianco: una lavoratrice che si prepara ad affrontare una maternità deve poter ritrovare il proprio posto di lavoro non trovarsi una lettera di dimissioni in bianco.
-Nella fase due bisogna spostare il peso della tassazione verso chi ha di più e lottare contro l'evasione.
-Se il tuo rapporto di lavoro é destinato a durare qualche gg al massimo qualche mese, difficilmente contribuirai alla crescita dell'azienda, del paese, quindi con la precarietà si genera stagnazione.
-Il lavoro può essere precario, non continuativo, ma la vita non lo é, quindi non togliamo gli ammortizzatori a un lavoratore precario.
martedì 24 gennaio 2012
Ieri il governo, i sindacati e le associazioni che rappresentano le piccole, medie e grandi imprese hanno cominciato un negoziato sulla riforma del mercato del lavoro, che il presidente del Consiglio Mario Monti intende portare a termine nell’arco di tre o quattro settimane. I giornali di oggi sono praticamente unanimi nel considerare l’accordo di ieri “una falsa partenza” e le parti si rivedranno la prossima settimana. Il principale punto critico emerso ieri è la proposta del ministro Elsa Fornero di riformare gli ammortizzatori sociali e soprattutto la cassa integrazione.
Che cos’è la cassa integrazione
La cassa integrazione è un ammortizzatore sociale – erogato dall’INPS e previsto dalla legge – a favore dei lavoratori che lavorano a orario ridotto o non lavorano del tutto a causa di un momento di difficoltà della loro azienda. Le grandi aziende possono farvi ricorso durante questi momenti di difficoltà, e l’INPS allora integra lo stipendio dei dipendenti per una parte delle ore che non sono più pagate perché non più ore di lavoro. La cassa integrazione si può applicare “a zero ore”, in caso di sospensione totale del lavoro, o a sospensione parziale. Le imprese possono chiedere la cassa integrazione per via di eventi congiunturali, crisi economiche o del mercato non direttamente imputabili agli operai o all’imprenditore: può durare al massimo 52 settimane in due anni e non più di 13 settimane consecutive. In questi casi si parla di cassa integrazione ordinaria (CIG). La cassa integrazione straordinaria (CIGS) è invece accessibile solo alle aziende con più di 15 lavoratori e si può attivare nei casi di ristrutturazione, riorganizzazione o riconversione aziendale, e si può applicare anche ai lavoratori di imprese fallite o in corso di fallimento, e non solo a quelle che attraversano un momentaneo periodo di difficoltà. Esistono dei limiti temporali per il ricorso alla CIGS, aggirabili attraverso deroghe, ma comunque non si può andare oltre i 36 mesi in 5 anni.
Chi non può accedere alla cassa integrazione
Le piccole imprese non hanno accesso a questo strumento, e quindi in caso di chiusura dell’impresa i dipendenti hanno diritto solo a un’indennità di disoccupazione, di durata molto più breve rispetto alla cassa integrazione. “Non tutti i disoccupati riescono però a ottenere questa prestazione”, scrive oggi Maurizio Ferrera sul Corriere della Sera, “soprattutto per mancanza di requisiti assicurativi: col risultato che l’Italia ha il record europeo di disoccupati privi di qualsiasi tutela”. Inoltre, come per tutto il resto del mercato del lavoro, valgono sempre le conseguenze del dualismo: la cassa integrazione non si applica alla gran parte dei lavoratori precari e dei collaboratori, i cui contratti semplicemente non vengono rinnovati in caso di difficoltà economiche e che non ricevono nemmeno indennità di disoccupazione. Dal 2008 a oggi la cassa integrazione è stata l’ammortizzatore sociale più usato per fronteggiare la crisi in Italia, e attraverso una serie di deroghe il governo Berlusconi ne allargò l’accesso anche alle piccole imprese e ad alcune tipologie di lavoratori atipici. “Nessun Paese europeo ha investito così tanto durante la crisi su questo tipo di schema e così poco sulle tradizionali indennità di disoccupazione”.
Il problema con la cassa integrazione
Lo spiega sempre Ferrera sul Corriere. Il sistema ha funzionato in molte occasioni ma ha grandi difetti: costa molto, “congela l’occupazione esistente anche in aziende o settori senza prospettive di recupero”, è stata usata spesso come ponte verso il prepensionamento, tradendo la sua missione originaria, e lascia scoperti molti lavoratori, peraltro sempre di più. Dall’altro lato, e questa è l’osservazione comune a sindacati e Confindustria, si tratta di uno strumento che potrebbe rivelarsi indispensabile durante il prossimo anno, che con la recessione rischia di mettere in difficoltà diverse grandi imprese, e quindi questo non è il momento di rinunciarci.
Che cosa propone il governo
Elsa Fornero ha proposto di mantenere soltanto la cassa integrazione ordinaria, quella che possono attivare le imprese che attraversano momenti passeggeri e congiunturali di difficoltà, come avviene in Europa. E sostituire quindi la cassa integrazione straordinaria, quella attivabile in caso di chiusura dell’azienda, con un altro pacchetto di ammortizzatori sociali, slegati dal legame del lavoratore col suo ex posto di lavoro. I lavoratori otterrebbero in questo caso un’indennità risarcitoria e un sussidio di disoccupazione rafforzato: il governo ha detto di voler introdurre un “reddito minimo”, pur senza individuare dove prendere le risorse. L’eliminazione della cassa integrazione straordinaria ne darebbe un bel po’ ma probabilmente non abbastanza, e bisognerebbe reperire una parte di risorse altrove.
domenica 22 gennaio 2012
sabato 21 gennaio 2012
giovedì 19 gennaio 2012
mercoledì 18 gennaio 2012
Del capitano Schettino sappiamo tutto e forse, si spera, anche troppo. Ma non era mica solo, sulla nave. Invece è come se lo fosse: se il comandante impazzisce, o si ubriaca, o picchia la testa, non c’è niente da fare. Nessun controllo, nessuna valvola di salvaguardia. Un uomo solo al comando, con potere di vita e di morte su tutti gli altri. E, se dà via di matto o semplicemente si fa gli affari suoi, peggio per noi. Vi ricorda qualcosa? Poi ci sono i passeggeri, che al “si salvi chi può” danno il meglio, ma anche il peggio. Uno, accecato dalla disperazione, strappa il salvagente al vicino e lo lascia affogare. Altri fanno a botte o calpestano la massa per arrivare prima alle scialuppe saltando la fila e, conquistato un posto sulla barchetta, scacciano i bambini o i vecchi o le donne o disabili perché “non c’è più posto”. Vi ricordano qualcuno? Il “particulare”, lo chiamava Guicciardini. Poi c’è Costa Crociere, che prima difende il comandante e poi lo scarica, dichiarandosi parte lesa perché ha fatto tutto da solo (ma proprio perché poteva fare tutto da solo Costa Crociere non è parte lesa). Vi ricorda qualcuno?
E siamo a Schettino, per gli amici “Top Gun”, che nelle interviste fa il ganassa con le battute sul Titanic. Se c’era bisogno di qualcuno che rinfocolasse i luoghi comuni sull’italiano in gita, eccolo pronto alla bisogna. Il tipico fesso che si crede furbo, ganzo, fico. Il bullo abbronzato coi ricci impomatati e i Ray-ban neri che conosce le regole e le rotte, ma è abituato ad aggirarle, a smussarle. C’è l’amico di un amico a riva da salutare a sirene spiegate? Che problema c’è, se po’ fa’. C’è da accostare per il rito dell’ “inchino” ai turisti portati dalla proloco? Ma per carità, si accosta. Accosta Crociere. Perepèèèèè. Crash! Ops, uno scoglio. E lui dov’è, al momento del cozzo? Una turista olandese giura che era al bar a farsi un drink con una bella passeggera appena rimorchiata. Perché la patonza deve girare, no? A quel punto, con la nave gonfia d’acqua, si chiama la Capitaneria per dire “Tutto ok, positivo”. Poi si parla di “guasto a un generatore”. Minimizzare, sopire, troncare finché si può. Crisi? Quale crisi? I ristoranti sono pieni, le stive pure. L’affondamento è solo psicologico, il classico naufragio percepito. Basta non parlarne e sparisce. Negare tutto, anche l’evidenza.
Infatti è la Capitaneria a informarlo che la sua nave affonda. E allora “abbandonate la nave”: lui per primo, assicurando però “stavo a poppa, ora torno sul ponte, a bordo ci sono solo 2-300 persone” (sono ancora tutte e 4 mila, però il vero bugiardo dà sempre cifre false ma precise). Il solito De Falco –c’è sempre un De Falco sulla rotta dei furbi fessi– lo sgama: “Ma lei è a bordo?”. “No”. “Vada a bordo, cazzo! È un ordine”. “Sono qua sotto a coordinare i soccorsi, ora vado a bordo”. Invece è già all’asciutto, aggrappato a uno scoglio. Verrà avvistato sulla banchina mentre aspetta il taxi per l’hotel Bahamas. Manca ancora un ingrediente: la telefonata a mammà. “Sto bene, ho cercato di salvare i passeggeri”. Come si chiama mammà? Rosa, e come se no? Lui intanto mente pure sull’ultima manovra: “L’ho fatta io per facilitare i soccorsi”. Invece l’han fatta le correnti. Poi pesca a piene mani dall’inesauribile serbatoio dello scusario vittimistico nazionale: tutta colpa di “uno sperone di roccia non segnalato, la carta nautica dice che non doveva essere lì”.
Il solito complotto degli speroni rossi, degli scogli spuntati a sua insaputa: se Vespa lo chiama a Porta a Porta, lui tira fuori il plastico. Non resta che svignarsela nella notte, quatto quatto, “per senso di responsabilità”, lasciando fare agli altri, ai tecnici. Vi ricorda qualcuno? Tipo un altro che aveva cominciato sulle navi da crociera?
martedì 17 gennaio 2012
ANCORA IN DIFESA DELL'ART. 18. La leader Cgil è poi tornata a difendere l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori e ha ribadito che «la norma che prevede il reintegro nel posto di lavoro in caso di licenziamento illegittimo non si tocca. L'unica cosa da toccare», ha detto il segretario generale della Cgil Susanna Camusso nel suo intervento a un convegno dell'Associazione nazionale magistrati, «sono i tempi certi della giustizia». Camusso ha ribadito la sua contrarietà alle teorie secondo le quali l'intervento sull'articolo 18 contribuirebbe alla crescita del Paese. Sempre il 17 gennaio ha inoltre avuto il primo contatto con il presidente dell'Autorità di Garanzia sugli scioperi, Roberto Alesse.
lunedì 16 gennaio 2012
domenica 15 gennaio 2012
Il fattoquotidiano.it è in grado di ricostruire tutto quanto avvenuto quella maledetta sera che, fino a oggi, ha restituito cinque cadaveri e un milione di incertezze.
Il mayday mai dato. “Costa Concordia, tutto ok?”. “Sì, Compamare Livorno, solo un guasto tecnico”. “Costa Concordia, siete sicuri che è un guasto tecnico. Sappiamo che a bordo ci sono i passeggeri con i giubbotti salvagente”. “Compamare, confermiamo: è un guasto tecnico”. E’ andata più o meno così, secondo le testimonianze raccolte dal Fatto.it e secondo le prime ricostruzioni della Guardia costiera, la conversazione tra la plancia di comando della Costa Concordia e la sala operativa della Capitaneria. Anzi, bisogna dire piuttosto tra la Capitaneria e la Concordia, visto che sono stati i militari della guardia costiera a chiamare la nave. Chissà quanto avrebbero atteso ancora a chiedere aiuto, se non fosse stato per una signora pratese a bordo.
L’allarme? Lanciato dalla passaggera. Atterrita, ha chiamato la figlia a casa, dicendo di trovarsi all’interno della nave, che si stava già inclinando, in un locale in cui era buio pesto e con addosso il giubbotto salvagente. La figlia ha chiamato la Capitaneria di Savona perché la madre aveva detto che era nel tratto tra Civitavecchia e il porto ligure, ma la sala operativa non sapeva niente. Così la telefonata successiva è stata ai carabinieri di Prato che hanno contattato i colleghi di Livorno. E hanno coinvolto la Capitaneria di Livorno che si è messa “a caccia” della nave Costa grazie al cosiddetto ‘Ais’ (Automatic Identification System), il sistema tecnologico di identificazione navale.
“Solo un guasto”. Dalla sala operativa livornese hanno dunque chiamato a bordo del Concordia. “Problemi?”, hanno chiesto. Dall’altra parte hanno risposto che era solo un guasto tecnico (e siamo già alle 22 passate, almeno un quarto d’ora dopo la collisione contro gli scogli secondo gli orari della Procura). Ma il militare della Capitaneria è vispo, sente che qualcosa non torna: un guasto tecnico e i passeggeri hanno il salvagente? Meglio chiarire: scusate, Concordia, ma allora perché i passeggeri hanno il giubbetto? Dall’altra parte, di nuovo la stessa risposta: confermiamo, guasto tecnico. Una risposta che hanno sentito anche i finanzieri della prima motovedetta arrivata in assoluto sul posto, appartenente al Reparto aeronavale delle fiamme gialle di Livorno. “All’inizio dalla nave hanno detto che si trattava di un guasto tecnico, senza specificare la natura – racconta il tenente colonnello Italo Spalvieri, comandante del reparto – Successivamente hanno chiesto all’equipaggio della motovedetta di poter agganciare un cavo in modo da essere trainati, ma era come chiedere a una formica di spostare un elefante”. Dopo circa 20 minuti, spiega Spalvieri, hanno dato l’ ‘abbandono nave’, il segnale per l’evacuazione.
La fuga. Schettino è tra i primi ad arrivare al Giglio, sulle banchine del porto. Lui e moltissimi membri dell’equipaggio. A bordo resta praticamente solo il primo commissario di bordo quello che, al contrario degli altri, farà il suo lavoro, verrà trasformato in eroe. Lui resta e aiuta i passeggeri a trasferirsi sulle scialuppe, ma gran parte del resto dell’equipaggio è già sulla terra ferma, in salvo. Il bar, l’unico del porto, il Caffè Ferraro, riapre la saracinesca per aiutare i naufraghi.
Schettino sale su un taxi. Tra le persone gigliesi, così si chiamano gli abitanti dell’isola, arriva sul molo anche un tassista. E’ a lui che il comandante, in abito bianco pronto per la cena di gala, si rivolge. “Mi porti lontano da qui”. “Comandante”, risponde il tassista, “io la posso portare a casa mia, questa d’inverno è un’isola deserta”. Così il tassista porta a casa il capitano e gli prepara un caffè.
Le telefonate dalla Capitaneria di porto di Livorno. Schettino, che è frastornato, ma non sotto choc, riceve tre telefonate in serie. E’ sempre la Capitaneria di porto di Livorno che lo chiama. L”ufficiale in servizio alla sala operativa non riesce a capire. “Come capitano, lei non è sulla nave?”. “No, non sono sulla nave e non ci torno”. Un’altra telefonata. “Capitano”, dice il funzionario di turno, “ordini superiori mi riferiscono di dire che lei deve tornare sulla sua nave”. “Non ci torno”. La terza telefonata, racconta il tassista, è concitata. Urlano da Livorno, urla Schettino. Sempre con le stesse ragioni. Il comandante a quel punto si fa accompagnare sulla banchina, ma sale sulla prima barca che lo porta a Porto Santo Stefano. Sulla nave non ci tornerà.
L’inchiesta e la disperata difesa. Il giorno successivo al naufragio, Schettino viene trattenuto nella caserma dei carabinieri di Orbetello. Quando il Procuratore riesce a ricostruire quello che è accaduto, senza neppure interrogarlo, ordina lo stato di fermo. Schettino viene trasferito nel carcere di Grosseto. Schettino (dopo la fuga appare improprio chiamarlo ancora comandante) continua a ripetere che la sua manovra è stata regolare, che gli scogli non erano segnalati da nessuna carta, che lui doveva passare da lì, a 100 metri dall’Isola del Giglio, distanza di sicurezza a malapena consentita per un pedalò.
Naufragio colposo, omicidio plurimo colposo, abbandono della nave. Ma secondo le fonti inquirenti, non è neppure la bontà delle sue intenzioni dal timone, anche se l’ordine di avvicinarsi all’isola lo ha dato lui in persona, per il consueto saluto di sirene: il punto è che Schettino ha abbandonato la nave a un’ora dall’incidente, lasciando a bordo i passeggeri e i suoi membri dell’equipaggio, in balia di un’organizzazione che alla fine, infatti, non c’è stata. Doveva essere lui – secondo il codice della navigazione e quello penale – a coordinare le operazioni di soccorso. Non poteva sparire nel nulla, pensare a salvarsi e lasciarsi alle spalle quel bestione di 282 metri che la compagnia di navigazione gli aveva affidato.
Le dichiarazioni del procuratore. E questo il nodo centrale dell’inchiesta. Il procuratore della Repubblica di Grosseto, Francesco Verusio dice che “il comandante ha abbandonato la nave quando c’erano ancora molti passeggeri da portare in salvo”, e “le operazioni di soccorso non sono state coordinate dal comandante”, ha detto. Un delitto imperdonabile per chi comanda una nave. “A questo punto - dice il procuratore capo – vogliamo capire chi si è assunto poi il compito di dirigere le operazioni di salvataggio, perché il comandante ha abbandonato la nave molte ore prima che si concludessero”. Sul numero di vittime il procuratore inizia a essere pessimista: “I morti per ora accertati sono cinque a questo punto, due turisti francesi e un membro dell’equipaggio peruviano oltre ai due anziani individuati nel pomeriggio”, ma “abbiamo gravi sospetti per altre cinque o sei persone. All’appello ne mancano una trentina – ha aggiunto – stiamo spuntando i loro nomi uno per uno dagli elenchi”, ma “non è facile dire con precisione quanti manchino all’appello”. Indiscrezioni, provenienti da fonti della Prefettura di Grosseto parlerebbero di 36 persone, delle quali 10 membri dell’equipaggio di nazionalità cinese e filippina, e 26 passeggeri. Ma anche questo dato è parziali. Fonti della Capitaneria ripetono che la lista definitiva non esiste. Esiste una lista, ma non è possibile sapere fino a questo momento quante fossero i membri dell’equipaggio, quelli che svolgono i lavori più umili, la lavanderia e la pulizia delle cucine e della nave. Filippini, molti, e cinesi.
La compagnia Costa dice che non ci sono lavori appaltati ad aziende esterne, fonti vicine agli inquirenti continuano a ripetere che invece è una possibilità che viene valutata.
Perché avvicinarsi all’isola? Il magistrato è riuscito a capirlo, alla fine. Schettino si è avvicinato al Giglio perché voleva salutare l’isola. Un codice campano, procidese per essere precisi, che impone l’inchino quando si passa dalle parti di un’isola. Una consuetudine, forse neppure così strana. Ma Schettino, venerdì, ha sbagliato i calcoli o fose si è abbandonato alla distrazione.
L’ordine di negare. Nei momenti successivi all’incidente l’ordine di Schettino è negare. Negare con i passeggeri e, come abbiamo visto, con la Capitaneria di porto: “Nessun incidente, solo un guasto tecnico”.
Le scatole nere. Ciò che è successo tra la comunicazione del presunto guasto tecnico e l’annuncio dell’abbandono nave verrà accertato con l’analisi delle scatole nere, già in Procura a Grosseto, che per le navi si chiamano ‘Voyage data recorder’ (che registra tutto cio’ che ‘fa’ la nave, compresi i movimenti prima e dopo l’impatto con lo scoglio) e ‘Voyage voice recorder’, che oltre a registrare le comunicazioni radio recupera anche le conversazioni all’interno della plancia di comando, una sorta di intercettazioni ambientali. “E qui – sorride un investigatore – se ne sentiranno delle belle”.
L’assicurazione sulla nave. Cinquecento milioni di dollari, secondo un broker genovese, è probabilmente il valore assicurativo di Costa Concordia. L’assicuratore è il gruppo statunitense Aon, leader mondiale nel settore del risk management e nell’intermediazione assicurativa e riassicurativa. Ma i 500 milioni di dollari riguardano soltanto la copertura della nave, scafo e macchina. Per la copertura assicurativa delle responsabilità dell’armatore, che comprendono risarcimenti ai passeggeri e all’equipaggio, eventuali danni all’ambiente, e rimozione del relitto, interviene il club inglese Protection&Indemnity Club, nel mondo dello shipping comunemente indicato come P&I. Nel caso di Costa Concordia interverrà la Standard. La nave, secondo gli esperti del settore, è totalmente irrecuperabile. Costa Crociere dovrà quindi fare eseguire la rimozione del relitto. Per asportare il carburante è stata ingaggiato l’olandese Smit International Group che, in Italia, lavora con l’azienda Neri di Livorno. I rappresentanti dei due gruppi sono già al Giglio in attesa di disposizioni della magistratura per poter operare. Non si sa quando. “Sicuramente”, spiegano, “sarà una corsa contro il tempo. Un cambiamento climatico e la nave, che ora è appoggiata su un fondale basso, potrebbe inabissarsi”. A pochi metri, infatti, il fondale scende fino a 70 metri: se dovesse alzarsi il venti di scirocco, come le previsioni dicono, la situazione potrebbe diventare irrecuperabile. E il danno ambientale di proporzioni senza precedenti.
venerdì 13 gennaio 2012
La Cgil: un incontro informale per definire l'agenda
Si è trattato, secondo la Cgil, «un incontro usuale, di carattere informale, per definire l'agenda di lavoro», sottolinea il sindacato di Corso d'Italia, non prima di aver affermato che «ora è auspicabile il ritorno a modalità di confronto ordinarie e vere rispetto agli annunci che si sono rincorsi in questi giorni». Nell'incontro la Cgil «ha ribadito la necessità di adottare misure per ridurre la precarietà nel mondo del lavoro e di intervenire sugli ammortizzatori sociali per estendere le garanzie». Il sindacato inoltre ha ribadito che «essendo intenzione del Governo intervenire su lavoro e occupazione, questi temi vanno correlati a quello più generale della crescita, che deve passare attraverso l'adozione di un piano del lavoro e con un intervento di riduzione del carico fiscale sui lavoratori dipendenti».
Prosegue la polemica sulla concertazione
Il faccia a faccia tra Fornero e Camusso arriva al termine di una giornata che si era aperta ancora nel segno di un nuovo affondo della Cgil contro l'esecutivo. Oggi, infatti, il sindacato di Corso d'Italia era tornato a chiedere su Twitter un reale coinvolgimento delle parti sociali nelle decisioni dell'esecutivo. «Se il Governo Monti vuole un accordo, chiami i sindacati e parli chiaro, individuando obiettivi e strumenti. È solo buon senso altrimenti è solo tutto fumo per decidere da soli».Non un ritorno «alla concertazione modello anni '90» ma «un confronto serio e onesto».
Discrezione e concretezza.Gia’ la nazione. Insomma i greci hanno ancora una nazione, e un prelato va dal ministro e gli dice, questi sono i nostri beni e sono a disposizione della nazione. Il prelato ha detto al ministro di essere anche “molto ottimista sulle possibilita’ di cooperazione con la chiesa su strumenti pratici per alleviare le sofferenze dei piu’ bisognosi”.Il religioso ha detto infine che le trattative sono “molto costruttive” e ha promesso che “la chiesa continuera’ a combattere per la gente in questi momenti cruciali”.Parole semplici, fatti. E da noi? Un fiume di denaro va dallo stato alle confessioni religiose: ad es. cio’ che va alla Chiesa cattolica deve essere impiegato “per esigenze di culto della popolazione, sostentamento del clero, interventi caritativi a favore della collettività nazionale o di paesi del terzo mondo”.Di che cifre parliamo? Nel 2008 di 1002 milioni di euro (fonte Wikipedia, “Otto per mille”), che nel 1990 erano 398, ovviamente ripartite fra le varie religioni. Non conosco le proporzioni, ma e’ facile ipotizzare, dati i rapporti numerici, che vada quasi tutto alla Chiesa cattolica.Ora, quest’ultima ha anche un patrimonio immobiliare, infatti, secondo una stima di Franco Alemani del gruppo Re, si sa che «Il 20-22% del patrimonio immobiliare nazionale è della Chiesa». Si tratta di donazioni, lasciti (erano proibite nell’Ottocento in vari stati europei), e quindi spessissimo di rendite che vanno ad aggiungersi ai contributi dello Stato (perche’ l’8 per mille e’ sottratto alla fiscalita’ generale, non e’ qualcosa in piu’ che i contribuenti danno).Che fara’ la Chiesa, o le Chiese di fronte al grande debito nazionale e alle sofferenze che ci attendono?Tremonti intanto, in attesa che si faccia vivo qualcuno, sull’esempio della Grecia, si prende tutto quel riesce a prendere ai poveri risparmiatori. Ma di questo abbiamo parlato ampiamente e per ora soprassediamo.
ULTIM’ORA, LA OMSA MINACCIA: “Il boicottaggio sicuramente avrà un peso importante, ma andrà anche a discapito di tutti coloro che lavorano ancora in Italia. La crisi del 2008 ci ha spinto a dover prendere delle decisioni.”
La Omsa costretta a rompere il silenzio e a rispondere al furioso tam tam mediatico che da giorni imperversa sul web con numeri da capogiro: oltre 60.000 adesioni e 560.000 invitati all’avento “Mai più Omsa” promosso dal nostro blog e migliaia di commenti sulla fanpage del gruppo. La risposta è arrivata poche ore fa, su Facebook; un comunicato che riassume, dal punto di vista dell’azienda, i passaggi salienti che avrebbero portato alla decisione di chiudere lo stabilimento di Faenza e traslocare in Serbia: “La sorte delle lavoratrici e dei lavoratori OMSA -recita la nota- oltre che quella di tutti gli altri dipendenti è tra le priorità del gruppo, che è all’opera con tutti i soggetti preposti per trovare la soluzione più soddisfacente, insieme”. Ma sul web non sembra crederci nessuno. Ecco il testo integrale del comunicato:
“In risposta alle vostre considerazioni, abbiamo deciso di essere trasparenti per darvi il nostro punto di vista sulla vicenda. Per permetterci di prendere in considerazione tutti i vostri commenti abbiamo creato uno spazio dedicato per ascoltarvi.
Lo stabilimento OMSA di Faenza ha una lunga storia, che inizia nel 1941 e che incrocia la storia della Gruppo Golden Lady Company nel 1992, quando ne viene acquisito il marchio. Da allora la direzione del gruppo ha sempre garantito ai propri dipendenti un posto di lavoro dignitoso ed un livello di retribuzione sopra la media. Anche dopo il 2001, anno a cui risale la decisione di realizzare in Serbia gli stabilimenti di Valievo prima e di Loznica poi, con l’obiettivo di attivare nuove produzioni nel settore dell’intimo e di dare una risposta competitiva allo sviluppo dei mercati dell’Est.
Allargare la propria organizzazione produttiva verso i paesi dell’Est significava, e significa tuttora, da una parte portare all’interno della propria organizzazione produttiva lavorazioni prima effettuate da aziende terze, dall’altra aumentare le esportazioni verso i Balcani grazie agli accordi di libero scambio tra la Serbia e la Russia, che consentono l’abbattimento dei dazi doganali. L’apertura degli stabilimenti serbi non ha minimamente influito sui livelli di produzione e di occupazione dello stabilimento OMSA di Faenza, anzi ha preservato gli standard di lavoro, senza ripercussioni economiche o sociali.
Nel mese di ottobre 2008 tuttavia si manifestava un’improvvisa crisi finanziaria internazionale, ed il conseguente apprezzamento dell’Euro ha provocato difficoltà nelle esportazioni, con un calo di fatturato complessivo di circa 66.000.000,00 di Euro per l’intero gruppo, i cui effetti si protraggono tuttora. Tale crisi ha indotto la direzione del gruppo italiano ad una riorganizzazione generale del gruppo per non soccombere davanti alla sempre più aggressiva competizione dei paesi a basso costo di produzione. Un riassetto organizzativo che non passa solo attraverso l’ottimizzazione dei costi, ma anche attraverso più razionali sinergie distributive dei prodotti.
Il bilanciamento della produzione tra Serbia e Italia, ha dunque comportato decisioni drastiche, a volte sofferte, come la riduzione della capacità produttiva in Italia (a fronte dei costi di produzione troppo onerosi) e la dismissione degli impianti in Francia, Germania e Spagna, e a volte coraggiose, come la realizzazione presso uno degli stabilimenti della provincia di Mantova di un unico polo logistico-distributivo di servizio a tutte le aziende del gruppo, che promette al consumatore un miglior rapporto qualità/prezzo del prodotto.
Il gruppo precisa che la decisione è stata presa in ottemperanza alle leggi italiane ed al principio di libera impresa, nel pieno rispetto del diritto del lavoro, mediante una trattativa che ha visto coinvolti i principali sindacati, enti locali, Regione Emilia Romagna e … oltre alla direzione dell’azienda, tesa a trovare un’alternativa occupazionale ed incentivi al personale in esubero. La sorte delle lavoratrici e dei lavoratori OMSA, oltre che quella di tutti gli altri dipendenti è tra le priorità del gruppo, che è all’opera con tutti i soggetti preposti per trovare la soluzione più soddisfacente, insieme.
Il Golden Lady Group Spa sa che il prodotto in ultima analisi “lo fa chi lo acquista”, e garantisce il massimo impegno nel mantenimento di un livello di competitività sostenibile sul mercato, consapevole della sfida alla produttività che attende l’intero Sistema Moda italiano.”
Un primo risultato, dunque, è stato già raggiunto: fare uscire l’azienda allo scoperto, costringerla a rispondere pubblicamente ai cittadini che protestano da giorni sul web e continueranno a farlo finché non rientreranno i licenziamenti delle 239 lavoratrici dello stabilimento di Faenza. Non fermiamoci adesso.
ROMA – L’allora governo Prodi aveva provato a mettere un argine. Il successivo esecutivo guidato da Berlusconi, con Maurizio Sacconi al ministero del lavoro, quell’argine lo aveva sgretolato e così una pratica scorretta e meschina è tornata a dilagare. La pratica in questione è quella delle cosiddette “dimissioni in bianco”: l’abitudine per cui al momento della firma del contratto di lavoro, all’assumendo, viene fatto firmare anche un altro foglio, senza data, di dimissioni. Dimissioni in bianco quindi che il datore di lavoro conserva in un cassetto, pronto a sfruttarle al momento per lui più opportuno. Momento che spesso coincide con la gravidanza delle lavoratrici. Non è un caso infatti che le statistiche parlino di oltre 800 mila donne incinte costrette ad abbandonare il posto di lavoro. Da allora, da quando nel 2008 il governo Berlusconi aveva voluto abrogare con un decreto d’urgenza la legge che tutelava le lavoratrici dalle dimissioni in bianco, nulla più è stato fatto, e la pratica è andata avanti sostanzialmente accettata, a malincuore o meno, da tutti. Ieri (3 gennaio 2012) sulla questione è intervenuta Elsa Fornero, ministro del lavoro con delega alle pari opportunità: “Il governo interverrà presto sulla pratica delle cosiddette “dimissioni in bianco”.
Da più parti, e da tempo, la Fornero veniva sollecitata sul problema delle dimissioni in bianco. Lettere di donne di varie estrazioni. Dichiarazioni di politici. L’appello del segretario della Cgil Susanna Camusso. Anche se le proteste per le dimissioni in bianco erano cominciate ben prima dell’insediamento del nuovo governo. C’era stata una vera e propria sollevazione quando, tre anni e mezzo fa, il governo Berlusconi aveva voluto abrogare con un decreto d’urgenza la legge che tutelava le lavoratrici dalle dimissioni in bianco. Legge che era stata varata appena un anno prima, nel 2007, dal governo di Romano Prodi. L’esecutivo di centrodestra la cancellò bollandola semplicemente come “burocratica”.
Ad onor del vero quella legge se non aveva risolto il problema, di certo qualche argine l’aveva messo a quella pratica disumana delle dimissioni, riservata praticamente soltanto alle donne. Anzi: alle donne in gravidanza. Assurda, la pratica: al momento dell’assunzione ad una lavoratrice vengono messi davanti il contratto e, contemporaneamente, un foglio per firmare, appunto, le dimissioni in bianco. Ovvero un foglio di dimissioni senza alcuna data che il datore di lavoro può perciò usare in qualsiasi momento decide di farlo. Nella maggior parte dei casi quelle dimissioni in bianco vengono tirate fuori dal cassetto nel momento in cui la lavoratrice dichiara di essere rimasta incinta. La legge del 2007 aveva stabilito una cosa molto semplice: le dimissioni volontarie sarebbero state considerate valide soltanto se compilate su appositi moduli distribuiti esclusivamente dagli uffici provinciali del lavoro e dalle amministrazioni comunali. C’era una progressione alfanumerica su quei moduli ufficiali. Una progressione che, di fatto, rendeva impossibile la compilazione al momento dell’assunzione.
Adesso Elsa Fornero sembra orientata a ripristinare qualcosa di simile. Ha detto infatti: “Il ministero sta studiando i modi e i tempi di un intervento complessivo a carattere risolutivo e che, grazie anche all’uso delle tecnologie informatiche, possa garantire in caso di dimissioni la certezza dell’identità della lavoratrice, la riservatezza dei dati personali e, soprattutto, la data di rilascio e di validità della lettera di dimissioni”. “La pratica delle dimissioni in bianco pesa fortemente e negativamente sulla condizione lavorativa delle donne e sulla loro stessa dignità, costituendo una vera e propria devianza dai principi di libertà alla base della società civile”. Per questo il ministro ha deciso di prendere provvedimenti: “Questo intervento comprenderà un’azione di sensibilizzazione volta a restituire piena parità e dignità al lavoro delle donne, considerato un fattore di crescita indebitamente compresso”.
Aveva ragione il compianto lenin: il parlamento, le elezioni, sono un gioco da marionette, di pupazzi...aggiungo i parlamentari sono dei miserabili,impostori, infami,ladri,mafiosi...
Fiat, la più grande impresa transnazionale basata in Italia, ha escluso laFiom-Cgil, il sindacato metalmeccanico italiano più rappresentativo, dall'intero gruppo (80.000 dipendenti) perché questo sindacato non ha firmato un accordo che peggiora le condizioni di lavoro, viola i diritti dei lavoratori, incluso il diritto di sciopero; cancella tutti gli accordi aziendali esistenti e il contratto collettivo nazionale di lavoro.
A partire dal 1° gennaio 2012 i lavoratori non potranno più iscriversi
in fabbrica alla Fiom, perché l'azienda non trasmetterà più alla Fiom
le loro quote di iscrizione.(1.500.000 euro annui ca.)
Inoltre non potranno più eleggere i propri rappresentanti sindacali.
Gli iscritti alla Fiom vengono discriminati e in alcune realtà
perfino spinti a dimettersi da questo sindacato per conservare il proprio
posto di lavoro. I lavoratori della Fiat hanno scioperato e manifestato, e continueranno a farlo, per i diritti e per le libertà sindacali: chiedono sostegno e solidarietà a livello nazionale e internazionale.
giovedì 12 gennaio 2012
ROMA – Di sacrifici Maurizio Landini, leader della Fiom, non ne vuole più sentire parlare. Lavoro precario, tagli, pensioni a rischio: per lui si sta peggio che negli anni Cinquanta, tutti chiedono altri sforzi agli italiani, il presidente Giorgio Napolitano in primis.
Lo ha fatto a Capodanno nel suo messaggio al Paese, ha evocato la capacità dei lavoratori di fare sacrifici come nel dopoguerra con la Cgil guidata da Giuseppe Di Vittorio e poi negli anni ’70 da Luciano Lama.
Al Fatto Landini affida il suo sfogo: “La storia andrebbe utilizzata per quello che è, in modo non così strumentale. Non credo che dobbiamo discutere sul rapporto tra Di Vittorio e la Dc di De Gasperi, o sulla svolta dell’Eur del ’77. Dico solo che nel ’77 c’era la scala mobile, si andava in pensione con 35 anni di anzianità e non c’era la precarietà di oggi. Negli anni ’50 dovevi avere un impiego per alzarti oltre la soglia della povertà, oggi puoi essere povero anche lavorando. In quei tempi richiamati come esempio di eroica povertà la situazione sociale era meno drammatica”.
Poi ancora parlando del Capo dello Stato dice: “Ecco, appunto, basta che non pensi anche lui ad aumentare la produttività con più sfruttamento, cioè lavorare di più a parità di salario. Un operaio Volkswagen lavora meno, prende più soldi, e l’azienda produce e vende più auto. L’operaio produce più valore aggiunto perché l’azienda ha investito. Se non investi, come ha fatto la Fiat, puoi solo chiedere agli operai di fare meno pause”.
sabato 7 gennaio 2012
venerdì 6 gennaio 2012
mercoledì 4 gennaio 2012
domenica 1 gennaio 2012
Il manager dei vip è in cella dal 30 giugno, ha avuto diversi problemi di salute. Gli agenti di sorveglianza parlano di un gesto dimostrativo per attirare l'attenzione.
Dategli delle lamette di modo che ci riprovi e che non faccia scena.
Ritenta...sarai piu' fortunato!
Il 14 marzo 2012, quando terminerà la cassintegrazione straordinaria, saranno tutte licenziate le operaie ancora in forza nello stabilimento faentino. Il provvedimento di mobilità interesserà 239 dipendenti, di cui solo 30 attualmente lavorano, per 4 ore al giorno.
Il fax è stato inviato il 27 dicembre dall’Omsa di Faenza alle sedi delle organizzazioni sindacali di categoria territoriali. Con il documento la Golden Lady del patron Nerino Grassi ha inteso anticipare una raccomandata, nella quale verrà formalmente comunicata la risoluzione dei rapporti di lavoro.
La notizia è arrivata come una doccia fredda, appena tre giorni dopo l’incontro al Ministero dello sviluppo economico. A discutere del futuro delle operaie c’erano Federico Destro per la Golden Lady, l’Ing. Marco Sogaro per l’advisor Wollo, il rappresentante ministeriale Gianpiero Castano, il sindaco di Faenza Giovanni Malpezzi e le parti sociali.
Il tavolo era stato convocato per discutere della riconversione del sito produttivo di Faenza. Attesissima era la relazione di Sogaro, il cui compito è quello di trovare investitori interessati all’acquisto dei due grandi capannoni di proprietà della Golden Lady. Per diversi mesi la situazione ritenuta più praticabile è parsa quella di tentare la ripartizione del sito tra una pluralità di imprese, ma a sorpresa l’ingegnere della Wollo ha messo al corrente i presenti di una trattativa con un possibile acquirente unico dell’intero stabilimento, che avrebbe trasferito in loco una preesistente realtà produttiva.
Pare essersi trattato solo di un fuoco di paglia. Infatti la trattativa è in una fase di stallo per due ragioni essenzialmente economiche: da una parte i 3 milioni di euro richiesti a titolo di onere per la parziale riconversione dello stabilimento, in aggiunta al prezzo d’acquisto, dall’altra la difficoltà che ha in questo momento il settore immobiliare, nell’accedere al credito bancario.
“Si è trattato di un incontro che non ha portato nessuna notizia concreta sul fronte della riconversione”, hanno commentato Samuela Meci e Renzo Fabbri della Filctem Cgil di Ravenna. “Il sindacato aveva ribadito all’azienda che doveva impegnarsi a mantenere il sito produttivo aperto fino a che la riconversione non fosse certa e concreta e pertanto si erano già calendarizzati incontri per verificare la veridicità e la concretezza del progetto tanto decantato dalla Wollo e dalla Golden Lady”.
Era stata fissata anche una data, il 12 gennaio, per riunire nuovamente il tavolo ministeriale e valutare gli eventuali progressi della trattativa.
Ora, con il licenziamento collettivo all’orizzonte, tutto diventa più difficile per le operaie Omsa. Clara Zacchini, una di quelle che ha lottato sempre in prima fila, commenta su facebook la notizia: “Abbiamo dei diritti firmati e siamo rimaste per la promessa di riconversione e intanto abbiamo bisogno di ammortizzatori. Come campiamo altrimenti?”.
Per Samuela Meci la decisione presa dai vertici aziendali rappresenta “un atto gravissimo, un ulteriore comportamento becero e arrogante di una proprietà che non si è mai vergognata di prendere in giro tutti e che, in un momento così delicato, sceglie di percorrere la strada di licenziare i dipendenti alla fine della cassa straordinaria, mettendo così in ballo i ragionamenti che si erano fatti per continuare a dare una copertura con gli ammortizzatori sociali”.
Se tutto il personale dell’Omsa venisse licenziato senza incentivi, né alcuna garanzia di rioccupazione, la tanto auspicata riconversione non avrebbe più molto senso per loro e verrebbe anche a mancare un’eventuale cassa in deroga da parte della Regione. Lo sa bene viale Aldo Moro e Gian Carlo Muzzarelli, assessore alla attività produttive, esprime tutta la sua perplessità: “Messa così, è una posizione irricevibile. È una scelta che crea tensione proprio nella fase più delicata della vicenda”.
Dal canto loro le lavoratrici Omsa accusano una “legislazione che protegge sempre più gli interessi unicamente lucrativi degli imprenditori” e fanno appello alla solidarietà di tutte le donne: le invitano a boicottare i prodotti a marchio Philippe Matignon, SiSi, Omsa, Golden Lady, Hue donna e uomo, Saltallegro e Serenella.
Intanto continua anche negli altri stabilimenti la macelleria sociale della Golden Lady.
Il 25 novembre ha chiuso definitivamente i battenti la fabbrica di Gissi in Abruzzo, lasciando altre 380 dipendenti senza lavoro. A Gissi l’azienda si era insediata 23 anni fa, usufruendo di fondi regionali e della Cassa del Mezzogiorno. Ora, sfruttate le risorse del territorio e scoperti i vantaggi della delocalizzazione, la Golden Lady ha abbandonato anche questo sito produttivo.
Intanto la multinazionale delle calze veleggia sui mercati mondiali con il vento in poppa di un fatturato milionario e con buona pace dell’articolo 1 della Costituzione.
Le percentuali di vittime nelle varie categorie sono sempre le stesse, gli anziani muoiono sempre schiacciati dal trattore: 138 morti provocati da questa autentica bara in movimento, in pratica un agricoltore muore schiacciato dal trattore in media ogni 3 giorni. E gli agricoltori con 206 morti registrano complessivamente il 31,16 % di tutti i morti sui luoghi di lavoro, vite che si potrebbero salvare con alcuni accorgimenti poco costosi per lo Stato.
Gli edili con 172 morti sui luoghi lavoro registrano il 26,60% e muoiono per la maggior parte cadendo dall’alto. Innumerevoli sono le vittime tra i lavoratori di aziende artigianali che operano nei servizi alle imprese o presso privati. Ci sono inoltre i casi di piccole ditte di artigiani con pochi dipendenti dove i lavoratori, e spesso gli stessi proprietari, che muoiono in varie circostanze, decessi che hanno un denominatore comune: scarsa cultura della sicurezza, poche attrezzature di protezione e fretta di concludere il lavoro. Lavoro che spesso viene dato a chi fa il miglior prezzo indipendentemente dalla professionalità, impiegando giovani precari che svolgono lavori pericolosi senza nessuna preparazione teorica e pratica di autotutela o anziani che continuano a lavorare in situazioni pericolose senza avere più i riflessi pronti. Con 74 morti sui luoghi di lavoro gli stranieri sono stati l’11,1% sul totale e i romeni da soli hanno avuto il 40% di vittime tra gli stranieri.
Le casistiche sono talmente tante che risulta impossibile elencarle tutte. E’ quindi molto probabile che con l’aumento dell’età pensionabile si assisterà ad autentiche carneficine se si pensa che ad oggi il 26% di tutti i morti sul lavoro ha più di 60 anni. Solo la mancanza di sensibilità di tutta la nostra classe politica poteva portare a non riflettere su questo aspetto e a dimenticarsi di queste potenziali vittime sacrificali. Per non parlare dei precari che non possono contestare neppure le condizioni di grande rischio quando sono impiegati in lavori pericolosi.
Che dire poi della proposta di legge del senatore PD Ichino, firmata dalla maggioranza dei senatori di quel partito, che vuole abolire l’articolo 18 per tutti i nuovi assunti e dove si specifica che saranno tutti assunti a tempo indeterminato per poi poter essere licenziati in qualunque momento con un indennizzo? Incredibili furberie per i gonzi, ma i lavoratori non lo sono e capiscono quello che è in gioco.
Per non parlare poi del partito dell’ex Ministro Sacconi il cui unico scopo era quello di demolire tutte le conquiste dei lavoratori degli ultimi 50 anni. I lavoratori dipendenti sono milioni ma nel parlamento si contano sulle dita di una mano. C’è da chiedersi se non è ora che il mondo del lavoro smetta di votare partiti che fanno a gara per smantellarne i diritti e il potere d’acquisto e anche minarne l’integrità fisica. I lavoratori devono attrezzarsi in modo da votare solo rappresentanti in parlamento che vengano dal mondo del lavoro dipendente : TANTI VOTI TANTI RAPPRESENTANTI. In questi anni è stata condotta una spietata lotta di classe contro il mondo del lavoro dipendente e i pensionati che ha coinvolto tutti i partiti di un parlamento pieno di affaristi, soubrette, funzionari, lobbisti di categorie privilegiate, secessionisti razzisti e inquisiti. Che legittimazione morale hanno, quando non fanno niente per le morti sul lavoro e poi legiferano contro una parte rilevante del paese che ha sempre fatto il suo dovere, ma che non è rappresentata in parlamento? Cosa succederà se anche nelle aziende, senza più l’articolo 18, non ci saranno più voci critiche nemmeno sulla “Sicurezza” pena il licenziamento?
L’obiettivo vero di questa proposta di legge e di altre è la distruzione dei sindacati scomodi come la CGIL che non si piega a questi tardo-liberisti berlusconiani presenti in tutti i partiti, che alzano barricate per difendere i propri privilegi e che hanno devastato il paese. Si difenda allora la CGIL diventando con suoi rappresentanti e iscritti punto di riferimento per milioni di elettori, che d’ora in poi faranno i raggi x ai candidati di ogni partito analizzando le posizioni che hanno tenuto nei confronti dei lavoratori. Per fortuna ci sono operai come Marco Bazzoni, iscritto alla FIOM, che sta combattendo praticamente da solo una battaglia di civiltà contro la distruzione delle leggi sulla Sicurezza. Se in Italia ci fosse una visione collettiva della società avremmo lo stesso numero di morti delle altre nazioni europee. L’Inghilterra per esempio registra un quarto dei nostri morti sui luoghi di lavoro (176), così ha scritto un italiano che si occupa della sicurezza in quel paese. E la stampa inglese, constatato che c’è stato un leggero incremento delle vittime rispetto all’anno prima, ha aperto un vivace dibattito che ha coinvolto tutte le forze sociali. E in Italia? Oltre un migliaio di lavoratori muoiono senza che non si levi da parte della politica, della stampa, delle TV, delle organizzazioni imprenditoriali e anche dei sindacati una voce univoca per far fronte a questa autentica emergenza sociale che porta il lutto in tante famiglie. Si alzano voci scandalizzate solo quando ci sono morti collettive. Poi il silenzio e tutto torna come prima, a parte qualche giornalista a cui va il merito di denunciare continuamente queste morti assurde per un paese civile. Se poi si analizzano approfonditamente i dati raccolti si vede che non c’è nessuna differenza tra regione e province amministrate da centro-destra e centro-sinistra, dal nord, al centro e al sud. Del resto alla guida ci sono sempre gli stessi burocrati di partito o lobbisti di diverse categorie professionali che abbiamo in parlamento e lo stesso pressapochismo nell’affrontare queste tragedie.
Percepisco un razzismo strisciante quando scrivo e dico che quest’anno al sud si muore meno che al centro-nord, che quest’anno la Puglia, nonostante la tragedia di Barletta, ha avuto un decremento abbastanza significativo nelle morti sul lavoro, come del resto la Campania. E sentire i razzisti nostrani dire che al sud i morti sul lavoro spariscono nei piloni di cemento, che non vengono denunciati e altre amenità del genere, che occorre guardare l’indice occupazionale, dimenticandosi che gli agricoltori e gli edili, categorie che hanno da sole il 60% dei morti sui luoghi di lavoro ci sono in eguale misura in tutti il paese. E che con Internet è impossibile occultare un morto sul lavoro, a meno che non sia un clandestino senza nessun legame in Italia e nel suo paese d’origine. Che dire poi del Piemonte a guida leghista che ha avuto un incremento delle morti di oltre l’80% rispetto al 2010, con la Provincia di Torino che dopo un calo di morti dalla tragedia della Thyssenkrupp, con 19 morti sui luoghi di lavoro risulta quest’anno la seconda per numero di morti in Italia? E che incredibilmente lo Stato permette lo smantellamento a Torino del Pool che si occupa di Sicurezza sul Lavoro guidato dal Giudice Guariniello, un vero eroe del nostro tempo? Che la mia Emilia Romagna, pur essendo una regione civilissima e guidata da giunte di centro-sinistra da sempre, è quest’anno la seconda in assoluto per numero di morti sui luoghi di lavoro e la prima in rapporto al numero di abitanti? E della provincia di Brescia a guida leghista dei “vicini al territorio” che si distingue per avere da anni il più alto numero di morti sui luoghi di lavoro? E che la teutonica provincia di Bolzano pur avendo un buon calo rispetto ad un catastrofico 2010 registra ancora uno sproporzionato numero di lavoratori morti sul lavoro? E delle Organizzazioni Imprenditoriali che invece d’andare orgogliose di un buon risultato su questo fronte da parte delle imprese e dei sindacati che collaborano, cercano in ogni occasione di smantellare la normativa sulla sicurezza dicendo che “burocratizza” il lavoro? Nelle imprese dov’è presente un delegato alla “sicurezza” e il sindacato le vittime si contano sulle dita di una mano nonostante i lavoratori occupati siano milioni. E questo qualcosa vorrà pur dire. Poi le stesse imprese, per risparmiare, chiamano artigiani poco qualificati sulla “sicurezza” a fare lavori estranei al processo produttivo e che registrano in quest’ ambito tantissimi morti, non controllando neppure se ci sono lavoratori in nero o in grigio.
Per concludere occorre sapere che non tutti i morti sul lavoro sono assicurati all’INAIL, che questo importante Istituto Italiano segnala da sempre tra i morti sul lavoro solo i suoi assicurati: che chi lavora in nero, e sono tanti, non lo è, e che non lo sono i pensionati schiacciati dal trattore e i militari morti sul lavoro in Italia e all’estero. E che tante situazioni in itinere, sulle strade ma non solo, sono contestate dall’Istituto. Che sulle strade muoiono tantissimi pendolari in nero che vengono annoverati tra i generici “morti per incidenti stradali”. Si rimane poi a bocca aperta per i tanti lavoratori pressappochisti che svolgono altri mestieri o pensionati che in nero aiutano per denaro, o anche gratuitamente, un parente e un amico, e che muoiono nel segare un albero, mentre riparano un tetto o schiacciati dal trattore. E che commissionando il lavoro neppure si rendono conto dei guai penali ed economici a cui vanno incontro in caso di grave infortunio.
E’ mia opinione, e i dati raccolti lo confermano, che il calo delle morti che l’INAIL registra tra i suoi assicurati sia dovuto soprattutto a mezzi di trasporto tecnologicamente più sicuri e che il calo di questi ultimi anni sia soprattutto sulle strade e in itinere. Se si escludono le aziende sindacalizzate in questi ultimi anni c’è stato addirittura un regresso nel combattere questo triste fenomeno.
Quello delle morti sul lavoro è un enorme problema collettivo: occorre pensare che ci sono intere categorie che hanno bisogno di tutti noi, bisognerebbe per esempio mettere a conoscenza dell’agricoltore di uno sperduto paese lucano, dell’Alto Adige o del bolognese (dove pochi mesi fa è morta una giovane di 22 anni precipitata in un burrone con il trattore) che il trattore è un mezzo pericolosissimo per la vita di chi lo guida, e far comprendere ad un edile straniero o del sud d’Italia che lavora anche al nord, che a salire su un tetto senza protezioni si rischia la vita.
Ognuno deve fare la sua parte dimenticandosi degli egoismi di parte, ci vorrebbe uno sforzo collettivo per far diminuire queste autentiche barbarie che sono le morti sul lavoro.