Mistificare sembra essere la parola d’ordine del PD, il giorno dopo la conferenza stampa tenuta dal presidente del Consiglio Mario Monti e dalla ministra del Lavoro Elsa Fornero. “Il principio del reintegro c’è”, è la dichiarazione del segretario del PD, Bersani. “Torna il reintegro per i licenziamenti economici. Hanno vinto il buonsenso e la determinazione”, gli fa eco il capogruppo dello suo partito alla Camera, Dario Franceschini. Piccole parti di verità che nascondono grosse omissioni.
In realtà il disegno di legge del governo contiene, ai fini del reintegro, una procedura farraginosa, incerta e limitata a casi molto limitati. In pratica si sta parlando di modifiche gattopardesche ed intanto il Ddl è ora in mano al presidente della Repubblica. Perché, visto che non è quello il percorso previsto per l’iter normativo? Viene da pensare che il vero regista di tutta questa faccenda sia proprio Giorgio Napolitano, che nelle scorse settimane non ha mai perso occasione per richiamare sindacati, industriali e partiti a non intralciare il corso della riforma del mercato del lavoro.
In buona sostanza, a parte l’obbligatorietà del tentativo di conciliazione, che solo nel caso non andasse a buon fine consentirebbe il ricorso al giudice, l’impianto normativo ipotizzato per i licenziamenti individuali rimane lo stesso già abbozzato nelle scorse settimane dal governo. Le piccole modifiche riguardano solo i licenziamenti giustificati dall’azienda con motivazioni economiche. Secondo il Ddl, il giudice ha facoltà (non l’obbligo) di ordinare al datore di lavoro il reintegro del lavoratore licenziato, solo “nell’ipotesi in cui accerti la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento”. Nel caso il Dddl venisse approvato in Parlamento in questa formulazione, l’insussistenza del motivo oggettivo (economico), in sede processuale, non basterà più a far rientrare al lavoro chi è stato illegittimamente licenziato. Occorrerà che la non sussistenza del motivo del licenziamento sia manifesto, ossia non ci siano dubbi che il motivo sia infondato. In pratica, nel caso in cui in sede processuale il datore di lavoro non dissiperà ogni dubbio circa l’insussistenza delle motivazioni addotte il licenziamento, il lavoratore non potrà essere reintegrato. L’illegittimo licenziamento diverrebbe legittimo per insufficienza di prove.
In sostanza sull’articolo 18 cambia davvero pochissimo e quelle modifiche, per quanto si rallegrino dalle parti del PD, non servirà affatto a tutelare i lavoratori ingiustamente licenziati. Ne da conferma “Il Sole 24 Ore” di oggi (5 aprile) , che in una schematica quanto efficace “valutazione dell’impatto delle misure”, giudica le proposte di modifica all’articolo 18 come peggiorative per la tutela dei lavoratori e migliorative per le aziende. L’organo ufficiale della voce dei padroni non ha bisogno di nascondersi dietro un dito, come tocca fare al PD, né dietro un imbarazzante silenzio, come sta facendo finora la Cgil.
Nessun commento:
Posta un commento