2012/ “Un Paese ricco aitato da poveri”: numeri, dati e percentuali dell’Italietta
Il 2012, l’anno della crisi e dello spread, l’anno del governo tecnico,
è terminato. I dati e i numeri rivelano una realtà nera e paradossale:
da una parte disoccupazione record,
soglia di povertà che tocca milioni di famiglie e una percentuale
incredibile di suicidi, dall’altra stipendi incredibilmente alti della
vera Casta italiani, banchieri e manager. Ecco il bilancio dell’anno che
sta per terminare, nella speranza (ed esigenza) che nel 2013 si cambi
passo.
Carmine Gazzanni - Partiamo da due numeri (raccolti,
affrontati, analizzati magistralmente da Nunzia Penelope in Ricchi e
Poveri), 1972 e 8640. In entrambi i casi parliamo di miliardi. Ma con
una piccola differenza: nel primo caso parliamo dei miliardi a cui
ammonta lo spaventoso debito pubblico italiano, responsabile in questi
mesi della crescita frenetica dello spread; il secondo invece
rappresenta la ricchezza privata in Italia. Avete capito bene: se
sommiamo i redditi dei cittadini italiani arriviamo all’incredibile
cifra di 8640 miliardi di euro. Quattro volte l’ammontare del nostro
debito pubblico. Come dice a giusta ragione Nunzia Penelope il nostro è
“un Paese ricco abitato da poveri”.
Non c’è che dire: già
questi due semplici numeri fanno riflettere e non poco. Aiutano ad avere
coscienza di una realtà che il 2012 ha certamente accentuato: da una
parte abbiamo la stragrande maggioranza della popolazione ridotta
all’osso, dall’altra abbiamo i pochi, pochissimi privilegiati con
stipendi da sogno. Ma andiamo avanti. Prendiamo in esame altri numeri:
sono soltanto 240 le famiglie (solo l’1% della popolazione italiana) che
godono di un patrimonio che supera i 5 milioni di euro a testa. A un
estremo ne corrisponde un altro, questo però ben più vasto: sono oltre
tre milioni le famiglie che non hanno nemmeno quella cifra minima
ritenuta indispensabile per la sopravvivenza (secondo dati ISTAT, 1011,3
euro al mese).
Non solo. Accanto ai veramente poveri, abbiamo
i poverissimi: tre milioni e mezzo di persone che non arrivano nemmeno a
mille euro al mese e, spesso, nemmeno a 500. La miseria più nera. E
pensare che se gli 8460 miliardi di ricchezza privata fossero divisi
equamente tra le 24 milioni di famiglie che compongono il popolo
italiano, ciascuno avrebbe un patrimonio di 360 mila euro. Altro che
debito pubblico.
Sono pochi, semplici numeri che tuttavia
riflettono una realtà socio-economica decisamente critica. Se ne
potrebbero aggiungere altri, come il tasso di disoccupazione giovanile
(che ormai va di record in record dopo aver sfondato il muro del 35%) o
quello di disoccupazione femminile (al Sud, addirittura, è oltre il
50%). Ma ne basta anche solo un altro per capire cosa abbia significato
il 2012 per il nostro Paese. Secondo i dati della CGIA di Mestre, solo
in questo anno i disoccupati sono stati quasi 700 mila. Una cifra
spaventosa.
Ma andiamo avanti con altri interessanti binomi.
1011 e 22 milioni. Il primo, come già detto, è la cifra media di
sopravvivenza per una famiglia di due persone. In altre parole: se non
arrivate a questa somma potete pure considerarvi parte della sempre più
crescente fetta di poveri. La cosa, peraltro, non deve spaventare
nessuno. Il dato che colpisce, infatti, è che le somme stabilite dagli
indicatori di povertà sono molto vicine alle media di retribuzioni
nazionali: mediamente 1286 euro per un lavoratore a tempo pieno
indeterminato, 700 per un lavoro part time, 800 per un precario. Cosa
vuol dire questo? Basta una multa, una tassa che arriva nel momento
sbagliato, una cura improrogabile per ritrovarsi – un mese o due – sotto
la soglia di povertà. Avvilente, non c’è che dire. Ma passiamo alla
seconda cifra: 22 milioni. Di cosa stiamo parlando? Della
ricapitalizzazione di un’impresa, di una banca, di un finanziamento
statale? Niente affatto. Più semplicemente è la paga annua per il 2011
di Marco Tronchetti Provera, numero uno della Pirelli. Una cifra
semplicemente assurda che, eloquentemente, Nunzia Penelope analizza
paragonandola a quella dei suoi stessi operai: i 22 milioni di Provera,
infatti, sono l’equivalente della paga annua di 950 operai; sono ben 61
mila euro al giorno, la stessa cifra che un lavoratore dipendente mette
insieme in tre anni; in un solo mese, dunque, il numero uno della
Pirelli guadagna quanto un operaio in 80 anni di lavoro. Semplicemente
assurdo.
Eppure i dati dimostrano proprio questo: l’assurdità
del sistema Italia, un sistema che nei fatti arricchisce pochi alle (e
sulle) spalle dei molti, anzi dei quasi-tutti. Demagogia? Assolutamente
no. Se infatti gli stipendi di manager e funzionari pubblici italiani
sono tra i più alti al mondo (un piccolo esempio: la busta paga del capo
della polizia Antonio Manganelli è di 621 mila euro annui, il capo
dell’FBI statunitense arriva a 155 mila dollari, poco più di 100 mila
dollari), i salari per i dipendenti sono tra i più bassi al mondo.
Secondo una classifica di 31 nazioni stilata dall’OCSE, l’Italia è
addirittura 23esima davanti soltanto ai pochi Paesi più poveri di noi
(Irlanda, Grecia, Portogallo e Est Europa).
Nonostante questo,
però, chiediamoci: chi sta pagando la crisi? Su tutti, proprio coloro
che ricevono mantenimento dallo Stato: dipendenti e pensionati. Questi,
insieme, fanno il 68% di tutti i contribuenti. Eppure si accollano ben
il 93% di tutta l’IRPEF che ogni anno affluisce nelle casse dell’erario.
La situazione, dunque, è più che critica. Ecco perché non dev’essere
sottovalutato un altro dato, certamente il più tragico, di cui troppo
spesso ci si dimentica o si fa finta di dimenticare. Secondo l’ISTAT nel
2010 i suicidi per motivi economici sono stati 187. Semplice casualità?
Non sembra dato che, rispetto al 2008, c’è stato un aumento del 25%.
Ben peggiori, peraltro, i dati forniti dall’Eures in un rapporto fornito
ad aprile 2012: nel corso del 2010 i suicidi economici sarebbero stati
addirittura 347. In pratica, uno al giorno.
E nell’anno appena
trascorso? Dati ancora non ce ne sono. Ma, d’altronde, basta riprendere
notizie di cronaca per farsi un‘idea. Come non ricordare, ad esempio,
Vincenzo Di Tinco che il 9 marzo scorso si è impiccato perché, dopo 40
anni di attività, si è visto rifiutare un prestito di soli 1300 euro
dalla sua banca (e per la qual cosa la Procura di Taranto ha aperto
anche un fascicolo per istigazione al suicidio). Oppure l’imprenditore
aretino che si è ucciso collegando il gas di scarico nell’abitacolo
della sua macchina dopo aver ricevuto una cartella esattoriale di circa
50 mila euro. O ancora Antonio Maggio, anche lui impiccatosi dopo aver
perso il lavoro con cui manteneva anche la madre rimasta vedova. Sono
storie drammatiche. Tragiche. Che dovrebbero far riflettere. Soprattutto
in piena campagna elettorale, con lo sguardo rivolto al futuro. Che,
per ora, si preannuncia più nero che mai.
martedì 1 gennaio 2013
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