Inasprisce deliberatamente il conflitto tra i maggiori sindacati nazionali: Fiom-Cgil da una parte, tutti gli altri contro. Divide i sindacati in un momento in cui i lavoratori dipendenti, di fronte alle cifre drammatiche della disoccupazione, della cassa integrazione e del lavoro precario, avrebbero il massimo bisogno di sindacati uniti per poter uscire dalla insicurezza sociale ed economica che li attanaglia. In presenza, per di più, di un governo del tutto inerte di fronte ai costi umani della crisi. Ora che si è chiuso stabilendo che solo i sindacati che lo hanno firmato potranno avere in essa i loro rappresentanti, si può dire che nell'insieme l'accordo su Mirafiori lascia intravvedere un paio di certezze, ed altrettante incognite. Una prima certezza è che l'ad Sergio Marchionne pensa evidentemente di importare in Italia non solo le auto, ma anche le relazioni industriali degli Usa. Il motivo è chiaro: legislazione e giurisprudenza statunitensi sulle libertà sindacali sono assai più arretrate che in Europa. Al punto che grandi imprese tedesche e francesi, che coltivano in patria relazioni industriali pienamente rispettose di quelle libertà, nelle sussidiarie Usa le violano con la massima disinvoltura. Assumendo crumiri al posto di lavoratori in sciopero,
Inoltre pare ormai certo che l'operazione Fiat-Chrysler non sia affatto destinata a fare di Chrysler la testa di ponte statunitense della Fiat; è piuttosto questa che si accinge a fungere da testa di ponte europea per la Chrysler. Partendo da Mirafiori. Si può infatti convenire che a fronte di una produzione prevista di oltre 250.000 vetture, tre volte quella degli ultimi anni, non si vede che differenza faccia produrre per la maggior parte Jeep Grand Cherokee, magari con la placca Alfa Romeo, piuttosto che qualche successore delle attuali auto del gruppo. Sono sempre posti di lavoro. Ma qui la Fiat si gioca la sopravvivenza come marchio originale. E' noto che per non sparire sul mercato europeo Fiat deve assolutamente spostarsi sulla fascia medio-alta; si comincia ora a intravvedere che il prezzo potrebbe essere la sua uscita dal rango dei progettisti originali e costruttori che hanno fatto la storia dell'auto.
Le incognite riguardano anzitutto che cosa succederà nelle altre aziende, a cominciare dalla componentistica, visto che il tetto comune del contratto nazionale sembra prossimo a cadere. Le grandi aziende - poche ormai in Italia - possono anche ritenere che il principio "ad ogni azienda il suo contratto" si attagli alle loro esigenze. Ma le piccole e medie? Il contratto nazionale non serve soltanto a proteggere i lavoratori in modo relativamente uniforme. Serve anche a proteggere le aziende dalla proliferazione incontrollata di sigle sindacali, come pure da rivendicazioni interne, magari extra-sindacali, che in assenza di un contratto quadro possono dare agli imprenditori grossi grattacapi.
Un'altra incognita riguarda destino e strategie della Fiom e dei suoi iscritti, in presenza di un'intesa che dal 2012 li esclude dalla newco Mirafiori - salvo un esito diverso del referendum. A Torino sarà assunto solo chi giura di non appartenere alla Fiom? Oppure dovrà nascondere la propria identità sindacale? O, al contrario, dovrà portare un badge che permetta ai capi di distinguerli a vista? Fuori Torino, poi, le cose potrebbero essere anche più complicate. Chi sa se l'ad Fiat si rende conto che in molte aziende meccaniche, comprese quelle che fabbricano componenti, la Fiom è il sindacato di maggioranza; in non pochi casi è l'unico. All'epoca della produzione giusto in tempo, il parabrezza o la sospensione o il disco dei freni che non arrivano perché il fornitore è fermo per una vertenza sindacale, può danneggiare la produttività di Mirafiori molto più che non i 40 minuti di pausa per turno invece di 30, o la pausa mensa a metà turno invece che alla fine. Le grandi strategie sovente naufragano per aver trascurato i dettagli.
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